sabato 21 novembre 2015

I miei ravioli di inizio estate

Quando ero bambina, alla fine di Novembre respiravo già l'atmosfera natalizia. Le strade si riempivano di luci intermittenti, in televisione cominciavano ad esserci pubblicità a tema e sugli scaffali dei supermercati apparivano i primi panettoni. 
Ho sempre amato questo momento dell'anno, il freddo che inizia a farsi pungente, i maglioni pesanti, le passeggiate sotto l'ombrello, le castagne da raccogliere nei boschi umidi, il colore delle foglie a terra, le domeniche pomeriggio passate accanto al termosifone, sorseggiando una bevanda calda. 

Questi sono anche i giorni in cui i miei nonni iniziavano a fare i ravioli per il pranzo di Natale. Montagne di ravioli, che venivano poi congelati e cotti la mattina di Natale per essere quindi conditi co u tuccu.
Quando ho visto che il tema della sfida erano proprio questi ravioli, che il nonno mi ha insegnato a fare quando ero bambina, il mio cuore ha fatto un salto: la ricetta di nonno, propongo la ricetta di nonno. Poi ho capito che non sarebbe stata una buona idea.

Avete mai provato a cucinare il vostro piatto preferito all'estero? non ha il sapore che ricordate ed è una delusione. Alcuni ingredienti non si trovano e vanno sostituiti, altri, anche se all'apparenza sono i medesimi, hanno comunque un gusto diverso. Nel mio caso, tanto per dirne un paio, avrei dovuto sostituire le erbette del ripieno con gli spinaci congelati - un'eresia - e avrei dovuto eliminare completamente quella manciata di porcini secchi che la nonna mette nel sugo, perchè qui i porcini non esistono.
Ma non era tutto qui. Ravioli col tocco e cappon magro sono il pranzo di Natale. 
E il Natale, quest'anno, per la prima volta nella mia vita non lo passerò seduta al tavolo da pranzo della nonna, ma a migliaia di chilometri di distanza, nel Paesino nel Bush qui in Western Australia, dove vivo. 
Un Natale estivo, con la gente in maniche corte che fa grigliate sulle spiagge. 
Ci sono alcuni riti che sono sacri e non si possono modificare. Sono i riti della memoria, quelli del cuore, quelli che si ripetono uguali anno dopo anno e hanno un posto speciale dentro di noi.
Non posso fare i ravioli col tocco qui, in questo inizio di estate australiana, e non c'è altro da aggiungere.

E allora? e allora bisogna fare qualcosa di diverso. Qualcosa che sia in sintonia col posto e la stagione. Così ho frugato nella dispensa e negli scaffali del supermercato e sono tornata a casa con un bottino improvvisato sul momento, ma che è servito magnificamente allo scopo.

Ravioli di patate e pecorino con ragù bianco di agnello
Ingredienti per la pasta
5 cucchiai di farina ( proponimento: devo comprare una bilancia)
un uovo
un pizzico di sale
5 patate royal blue
4 cucchiai di Farmhouse Gold di Nannup
un mazzetto di erba cipollina
sale e pepe

Per il ragù
400 g di agnello macinato
una costa di sedano
una piccola cipolla
una manciata di timo
un bicchiere di vino bianco 
3 mestoli di brodo vegetale

Per la pasta, non  avevo dubbi: ricetta tradizionale emiliana, 100 g di farina e un uovo. I miei 100 g sono sempre approssimati a cucchiai, ma pazienza. Le uova me le porta fresche una mia collega: qui tutti hanno i chooks, le galline. Quanto alla farina, vivo al confine della Wheatbelt, la regione del Western Australia dove i campi di cereali si estendono a perdita d'occhio: la farina è di produzione locale e di ottima qualità. 
Al supermercato ho trovato poi le royal blue potatoes, patate a pasta gialla con la buccia rossa e il sapore intenso.
Le ho abbinate al Farmhouse Gold, un pecorino stagionato prodotto artigianalmente  in una fattoria di Nannup, a circa 200 km da dove vivo io, e a tutti gli effetti l'unico caseificio della zona che lavora latte di pecora: un po' distante, ma il formaggio vale davvero la pena del viaggio ( la rima non è volontaria).
Girovagando nella sezione macelleria del supermercato ho poi trovato l'agnello, e perchè non fare un ragù di agnello?
Detto fatto, appena tornata a casa ho preso sedano e cipolla e ho messo su il soffritto. 


La mia dotazione di pentole è molto scarsa, quindi ho usato una padella antiaderente. Le mie foto, come al solito, sono orrende.
Ho poi aggiunto l'agnello, sfumato col vino, aggiunto il timo e lasciato cuocere a fuoco bassissimo per circa un'ora e mezza.


Nel frattempo ho messo a bollire le patate.

na volta cotte ho aggiunto sale e pepe e l'erba cipollina tagliata a pezzettini ( mi piace sentirne il sapore). Ho quindi grattugiato il pecorino e l'ho incorporato alle patate, lavorando fino ad ottenere un impasto omogeneo.
Ho impastato uovo e farina e tirato la sfoglia secondo gli insegnamenti del nonno.




Ho cotto la pasta in acqua bollente per circa 10 minuti, quindi l'ho scolata e l'ho condita col ragù.
Con questa ricetta partecipo all'MTC di Novembre.



lunedì 19 ottobre 2015

Scene di vita quotidiana nel bush

Kangaroos happen
E' la sera di qualche giorno fa e sto tornando a casa dopo il turno di pomeriggio. Sono circa le 21.30 e io sto percorrendo i 55 km che separano il posto dove vivo da quello dove lavoro. La strada è deserta e senza alcuna luce.
Ad un tratto, alla luce dei fari, vedo un giovane canguro fermo in mezzo alla strada. Rallento e mi fermo a circa due metri di distanza. Lui si gira a guardarmi, poi fa qualche salto nell'altra corsia, in direzione del lato opposto della strada. 
Ok, penso, ora se ne va. Lascio andare il freno e, lentamente, la macchina comincia a muoversi. 
Mi sto già rilassando.
Nel momento in cui, lentissimamente, passo accanto a lui, il canguro cambia idea, fa dietrofront e salta contro la macchina schiantandocisi sopra, tutto in meno di due secondi.
Andavo pianissimo, quindi non mi sono fatta nulla. Lui però è riuscito a distruggermi un faro, staccandolo e lasciandolo a penzoloni. 



Commenti dei mie colleghi:
- Eh, i canguri succedono. Siamo nel bush. 
- Sei stata fortunatissima, la macchina funziona ancora, no?
- Eh, i canguri diventano pazzi con la luce dei fari. E' andata bene, dai. 

Lucertolando
L'Australia è la terra dei lucertoloni. Vedere bobtail e goanna che attraversano la strada davanti alla macchina mentre sto guidando è un'esperienza quotidiana, e passeggiando nel bush se ne incontrano tantissimi.




Qualche giorno fa eravamo nella cittadina di Albany, sulla costa sud. 
Eravamo seduti in un locale molto grazioso, una specie di solarium, con il pavimento di legno e le pareti di plastica trasparente.
Stavamo bevendo tè e gustando una fetta di una buonissima torta.
Ad un tratto, noto che lo sguardo di mio marito è catturato da qualcosa che sta alle mie spalle. 
Mi giro.. e dietro di me, comodamente appoggiato ad un divanetto, c'è un lucertolone nero lungo poco meno di mezzo metro, che ci guarda con curiosità. E non è solo: poco lontano ne avvistiamo un altro, poco più piccolo, sempre dentro al locale.
Catturiamo lo sguardo del cameriere e gli facciamo cenno di venire al nostro tavolo.
L'uomo arriva, vede il lucertolone, sorride e afferma tranquillo:
- Ah, sì. Non preoccupatevi, è molto amichevole e adora gli scones. Viene qui quasi ogni giorno con la sua famiglia. 

La mia pelle è la tua pelle
L'ultima storia che vi racconto oggi ha come protagonisti gli Aborigeni.
Non basterebbe che scrivessi un libro intero, per parlare di loro, figuriamoci un post. 
Oggi dirò solo che qui nel paesino dove vivo ce ne sono parecchi e li incontro quotidianamente, soprattutto al supermercato. La gente li odia. Vivono ai margini della società, in condizioni spesso misere e in balia dell'alcool. Per loro ho un interesse professionale e spero di essere un giorno in grado di poter fare attivamente qualcosa per aiutarli. 
Tre giorni fa ero dunque al supermercato, in coda alla cassa, in attesa che venisse il mio turno.
Dietro di me, con un carrello carico di generi alimentari, si mettono in coda due donne Noongar ( il gruppo aborigeno che vive nel sud del Western Australia). Una di loro tiene per mano una bambina bellissima di circa due anni, con due grandi occhi neri e la pelle bruna. E' a piedi nudi, come la madre, e ha sul viso dei segni fatti con una qualche pittura bianca. E' una decorazione tradizionale, ma non ne conosco il significato.
La bimba mi fa un sorriso immenso, e io lo ricambio.
 - Come ti chiami? - mi chiede.
Glielo dico, ma il mio nome suona strano. Me lo chiede di nuovo, e di nuovo aggrotta le sopracciglia.
Poi improvvisamente mi scruta, i suoi occhi si fanno seri, come se improvvisamente mi avesse riconosciuta. Mi fissa e mi chiede:
- Sei Noongar? a che tribù appartieni?
La mia pelle è molto più chiara della sua, ma io ho occhi e capelli castani, in un posto dove la maggior parte della popolazione è bionda con gli occhi azzurri. 
Le faccio un grande sorriso, mentre ragiono che già a quell'età ha chiara la differenza tra "noi" e "loro". 
La mamma si china su di lei e le sussurra qualcosa nell'orecchio. La bimba mi guarda delusa. 
Poi arriva il mio turno, pago e vado via, con l'amaro in bocca.

Cara bimba sconosciuta, hai indovinato, sono una Nativa Italiana, quindi abbiamo qualcosa in comune. E non solo: faccio parte della tua stessa razza, quella umana, ed è come dire che siamo sorelle. Vorrei che tu sapessi che non vedo differenze tra di noi e, proprio per questo, vorrei che tu potessi avere le stesse possibilità che ho avuto io. La possibilità di vivere in un ambiente sereno, la possibilità di studiare, la possibilità di scegliere autonomamente il tuo futuro, la possibilità di vivere tra persone che non ti discriminano, la possibilità di essere felice. Io ho avuto tutte queste cose e vorrei che le potessi avere anche tu. Vorrei tenere lontano dalla tua vita l'alcool, la droga, la violenza domestica, le gravidanze precoci. Vorrei che tu potessi mantenere a lungo il tuo bellissimo sorriso e continuare a vedere in me una persona simile, anche quando crescerai e ti accorgerai che la mia pelle e la tua pelle sono di due colori diversi. Un grande abbraccio.

venerdì 25 settembre 2015

I croissants della memoria

Questa è una storia di profumi e di ricordi. 
Le mattine d'estate della mia infanzia avevano un odore particolare. Sapevano di erba tagliata di fresco, di fiori, di amarene da mangiare direttamente dal ramo, di terreno riscaldato da sole. 
Soprattutto, avevano l'aroma pungente della focaccia con le cipolle, la colazione che trovavo sempre pronta a casa dei nonni, dove mio padre mi accompagnava prima di andare al lavoro. 
La focaccia era calda e fumante, appena comprata nel panificio, e la divoravo in un baleno. 
Mio nonno ci teneva a farmela trovare pronta quando arrivavo, e usciva di casa prestissimo per andarla a comprare. 
Più tardi la casa si riempiva dei profumi che venivano dalla cucina. I miei nonni, pur non essendo professionisti del settore, avevano fatto della passione per la cucina una vera e propria arte. 
Mio nonno era lo specialista della pasta, ed è stato lui ad insegnarmi a tirare la sfoglia e a fare i ravioli. 
Era un uomo dalla creatività vivacissima e geniale. Era un falegname, anche se questa parola non rende l'idea della sua bravura. Era un artigiano, nel senso che conosceva l'arte di lavorare il legno alla perfezione e quello che usciva dalle sue mani era un capolavoro. I suoi mobili, le sue sedie erano perfetti. I suoi intarsi sembravano dipinti e ancora oggi, a distanza di decenni, ci si può passare sopra il dito senza sentire soluzione di continuità tra un tassello di legno e l'altro. 

Il suo compleanno era il 21 Settembre e, a partire da quando avevo quattordici anni, la torta per la festa l'ho sempre fatta io.
- La mia pasticciona - mi diceva lui ridendo, guardando con orgoglio le mie creazioni e correggendo subito dopo in "pasticcera". 
La torta, di qualunque tipo essa fosse, conteneva sempre dell'uva, in parte perchè era di stagione, ma soprattutto perchè a lui piaceva molto. 
Nonno è morto nel 2009, a 94 anni. Qualche giorno fa, pensando a lui, ho realizzato che se fosse stato vivo quest'anno avrebbe compiuto 100 anni. 

Così ho deciso di dedicare a lui i miei croissants per la sfida di Settembre, per ricordarlo e per augurargli buon compleanno. Ho voluto che nella ricetta ci fosse dell'uva, anche se qui in Australia non è di stagione e trovarla è stato difficile. 

Croissants sfogliati alle mandorle con composta calda di uva e mele 

Ingredienti per i croissants
320 g di farina 00
80 g di farina di mandorle
220 ml di latte
40 g di burro ammorbidito a temperatura ambiente
30 g di zucchero
4 g di lievito di birra istantaneo
9 g di sale
4 g di aceto di vino bianco
un uovo per la spennellatura
mandorle sfilettate per guarnire
200 g di burro per la sfogliatura

Ingredienti per la composta
Un grappolo di uva bianca
Una mela
4 cucchiai di zucchero
Il succo di mezzo limone
semi di vaniglia


Per la ricetta , come da indicazioni, ho seguito quella del blog di Luisa Jane. 
Ho variato solo una cosa: ho sostituito il 20% della farina con farina di mandorle (ho letto dopo che non era consigliata.. per fortuna la pasta non si è strappata).
Oltre a questo, purtroppo non possiedo una bilancia, quindi le misure sono approssimate a cucchiai.
Le foto, purtroppo, sono pietose come al solito -.-

Ho eseguito il primo impasto, l'ho fatto riposare sei ore in frigo, quindi ho spianato il panetto di burro tra due fogli di carta da forno e ho iniziato a fare le pieghe.


Al termine ho fatto lievitare i croissants e li ho cotti secondo indicazioni.


Ho poi preparato la composta di uva e mele facendo cuocere tutti gli ingredienti per circa novanta minuti.


Con questa ricetta partecipo all'MTC di Settembre.



mercoledì 22 luglio 2015

Era una notte di tuoni e lampi

Erano le otto di sera di qualche settimana fa e stavo andando al lavoro per fare il turno di notte. 
Era una tipica serata di questo mio primo inverno australiano. Un Italiano associa sempre il mese di Giugno col caldo, e invece no, qui è inverno e fa freddissimo.
Quella sera il cielo tutt'intorno al paese era pieno di lampi e la pioggia veniva giù a catinelle.

Sono salita su Torcina, la mia macchina, parcheggiata davanti a casa, giusto prima di inzupparmi fino alle ossa, ho messo in moto  e come di consuetudine ho iniziato a cantare, per farmi compagnia e far passare più velocemente i 55 chilometri che mi separano dal luogo dove lavoro.
Devo dire che mi piace guidare, e soprattutto mi piace farlo su questa strada, che di giorno è circondata da verdissimi campi di grano che si estendono a perdita d'occhio, boschetti di eucalipti e pascoli.
Di notte la strada è nera come la pece. Non c'è un lampione, una casa, nulla. L'unica eccezione, a metà strada, è un caravan park con annesso ristorante. Oltre a quello non c'è nessun'altra presenza umana. La strada è abbastanza trafficata durante il giorno, ma di notte diventa un deserto, si guida per 55 chilometri senza mai abbassare gli abbaglianti.
Di notte ci sono solo le mie canzoni a rompere il silenzio, e le stelle che mi scintillano sulla testa.
Di solito guido e canto persa nei miei pensieri e quando arrivo a destinazione quasi non mi rendo conto della strada percorsa. Quella notte però non è andata così.

- Oh Lady Lady Oscar, le gran dame a corte ti invidiano perchè, oh Lady Lady Osc....
-VRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR
- Torcina? TORCINA? cosa stai combinando? Cos'è questo rumore?
-VRRRRRRRR.....TOC
- Torcina?
- ......
- Torcina!!!!!

E' una notte buia e tempestosa e la tua macchina, dopo aver emesso uno strano rumore da falciatrice inceppata, si è spenta e non riesci più a metterla in moto. Ovviamente sei in mezzo al nulla. Per prima cosa guardi il cellulare, ma ovviamente non c'è campo.
Ciao. Benvenuta nel bush australiano.

Ok. Sangue freddo. Rilassati. Come no. Sono le 20.30, e tra mezz'ora e trenta chilometri dovrei essere al lavoro. E invece sono qui. Cosa faccio adesso? Non passa nessuna macchina a cui poter chiedere aiuto.
Aspetta, poco fa ho passato il caravan park. Riuscirò a raggiungerlo a piedi? Dicono che se si ha un problema nel bush non bisogna mai lasciare la macchina. Ma cosa faccio qui, tutta la notte? provo a raggiungere il caravan park. Ora non piove. E i fulmini? chissà quanto è lontano il temporale. Non per niente, la strada che dovrei fare a piedi è bordata da alberi altissimi...
Ecco un lampo. Uno, due tre, quattro, cinque, sei, sette.. ecco il tuono. Sette secondi. Sarà abbastanza lontano? Sono pazza a pensare di raggiungere il caravan park a piedi? Forse sì. Ma lo sapevo già. Coraggio. Andiamo.

Spengo i fari e precipito nel buio. Chiudete gli occhi. Ecco, così. Il buio della strada è così.
Cammino più rapida che posso. Il caravan park non può distare più di un chilometro. Cammino senza sapere dove metto i piedi, beccando ovviamente tutte le pozzanghere della strada. L'unico rumore è quello dei miei passi e dei tuoni in lontananza. Cammino in mezzo alla strada (o almeno credo) il più lontano possibile dagli alberi.

Dopo un tempo che mi sembra infinito arrivo finalmente ad una piccola costruzione da cui filtra una luce. Il ristorante del caravan park. Ma la porta è chiusa. Il locale è vuoto, chiude alle 20. Provo a bussare, nella speranza che ci sia ancora qualcuno, magari il titolare che lava i pavimenti. Busso più volte, ma non c'è nessuno.
Allora entro nel caravan park. Delle voci. Qualcuno sta parlando davanti ad una roulotte. Seguo le voci, e infine arrivo ad una tenda dove un gruppo di uomini avviluppati in pesanti giacconi sta fumando e bevendo.

- Ehm, scusate........SCUSATE!!!
Ci metto un po' per farmi notare. Forse la ragione è nelle bottiglie di vodka mezze vuote che sono sul tavolo.
Alla fine mi vedono. Chiedo se nel caravan park c'è un telefono pubblico, ma loro non ne hanno idea. Spiego che ho avuto un guasto alla macchina e che devo fare una telefonata.
Uno di loro mi porge un cellulare. Peccato che non ci sia campo. Intanto iniziano a mettermi a fuoco.
- Un guasto alla macchina hai detto, eh?
- Sei di qui?
- Sei sola?

Infine uno di loro si alza, e solo in quel momento mi accorgo che è una donna, l'unica della compagnia. Con parole malferme mi dice che mi accompagnerà dai gestori.
Fa fatica a reggersi in piedi.
- Scusami, devo essere un po' ubriaca - mi dice. Giusto un filino.
Barcollando mi accompagna su per una scala, e infine bussa ad una porta.

- Salve, la mia macchina si è guastata proprio qui vicino. Avete per caso un telefono fisso? dovrei fare una telefonata.
I gestori ringraziano la signora che mi ha accompagnata, mi fanno entrare ed usare il telefono fisso. Chiamo mio marito e il posto di lavoro, spiegando il problema. La mia collega mi dice di stare tranquilla. Sono cose che succedono.
Intanto fuori è arrivato il temporale. Piove a catinelle e i lampi illuminano la strada a giorno. Sono ormai le 21.15.
Mentre aspetto che arrivi mio marito chiacchiero un po' con i gestori. E' una coppia di mezza età proveniente da Perth, che ha rilevato il caravan park da sole sei settimane. Mi chiedono da dove vengo, gli racconto che sono Italiana e che vivo in Australia da Gennaio.
- Ah, italiana! Conosci Valentino Rossi? - mi chiedono.

Chiacchieriamo. Mi offrono tè e biscotti, e intanto mi chiedono di descrivergli il problema che ho avuto con Torcina.
- Dev'essere una cinghia del motore allentata- diagnostica il gestore, che ha lavorato per qualche tempo come meccanico - dì a tuo marito di tornare qui, dopo che ti ha accompagnata al lavoro, così andiamo a vedere la tua macchina.
Per la cronaca, la diagnosi era azzeccata.

Infine mio marito arriva, mi accompagna al lavoro, e la brutta avventura notturna si conclude.
Non posso fare a meno di pensare di essere stata molto fortunata: in 55 km, la macchina si è guastata proprio vicino all'unico posto dove avrei potuto ricevere aiuto.
Ora nella mia lista di cose da fare si sono aggiunte l'acquisto di una torcia potente da tenere in macchina e magari un piccolo corso di pronto intervento meccanico. Tipo come si fa a cambiare una ruota, aggiungere acqua al radiatore, cose così.
Piccolezze, che però qui possono fare la differenza. Specie se il prossimo guasto dovesse essere tipo a trenta chilometri da ogni possibile soccorso.
E questo è solo il bush. Se un giorno dovessimo trasferirci nell'outback, dove la natura è davvero selvaggia, l'acquisto di un telefono satellitare potrebbe essere indispensabile. 

giovedì 25 giugno 2015

L'hamburger della sopravvivenza

Eccomi all'MTC, di nuovo in extremis.
Sono stata felicissima del tema di questo mese. E' da quando mi sono sposata che cerco di padroneggiare l'arte di preparare un hamburger perfetto, senza mai riuscirci fino in fondo. 
Mi ricordo l'ansia leggera, la prima volta che mio marito mi propose di organizzare una cena a base di hamburger per gli amici. 
Niente pasta, niente pasqualine, niente arrosti, solo piccoli dischi di carne chiusi in un panino. Per quanto mi sembrasse assurdo invitare degli ospiti e non preparare nemmeno un piatto di pasta, mi sono adeguata e anzi, ho cercato disperatamente di realizzare l'hamburger perfetto. 
Perchè anche se per me la faccenda poteva avere poca importanza, per i miei ospiti e per mio marito, Americani, l'hamburger è il comfort food per eccellenza. Quel cibo che richiama il passato e i sapori dell'infanzia, e quindi sarebbe dovuto essere perfetto.
Non ricordo come andò quella cena. Da quella volta però, ho cucinato innumerevoli hamburger, di manzo e di agnello, col formaggio o senza, con la senape, l'insalata e la cipolla.

Per questa sfida ero partita con grandi idee.
- Sono in Australia. Cosa c'è di più australiano di un hanburger di canguro?
Sono andata verso il banco frigo del supermercato. Una volta lì, però, mi sono fermata.
No, seriamente, non credo che riuscirei a mangiare carne di canguro. Come posso mangiare queste simpatiche creature che mi tagliano la strada davanti mentre sto guidando?
No, certo che no. Niente canguro.
Allora ho iniziato a pensare, e mi sono venute mille idee. Mille piccoli hanburger differenti. No, mille forse sono un po' troppi. Facciamo tre. Tre piccoli hamburger. Una trilogia. Uno tradizionale. Uno con la polpetta di lenticchia e noci. E uno con la polpetta di zucchine, e uovo, e pane....

Poi, naturalmente, tra il dire e il fare c'è sempre uno spazio così grande che non riesco a capacitarmene. Mio marito è stato via alcuni giorni. Ovviamente ho aspettato che tornasse: vuoi che faccio l'hamburger e lui non è qui?
Poi ci si è messo il lavoro: turni su turni su turni. Da arrivare a casa stravolta ad ore improbabili e crollare sul letto.
Poi ci sono stati i problemi accessori: la schiena incriccata, la macchina che ha pensato bene di rompersi mentre stavo andando al lavoro, su una strada deserta, in piena notte e senza copertura del cellulare, ma, soprattutto, il riscaldamento che si è guastato ieri sera, lasciandoci al freddo.
E non si scherza: qui in Australia è inverno, di notte la temperatura scende sottozero.

E io, dopo essermi trascinata fino all'ultimo giorno utile per partecipare all'MTC, ho pensato che pazienza, che sarà mai, anche se in cucina ci sono 14°C riuscirò a far lievitare l'impasto per i buns, no? No. Non so se c'entri la temperatura o se dipenda dalla mia incapacità, ma l'impasto, ahimè, non si è alzato di un millimetro. L'ho messo a lievitare nel forno spento con una pentola d'acqua calda, ma niente, non c'è stato verso.
L'ho supplicato. Ho cercato di rianimarlo in tutti in modi. Gli avrei praticato la lievitazione bocca a bocca, se avessi saputo come farla.
Infine mi è venuta l'idea: provo a cuocerlo lo stesso. Magari un pochino lievita. In fin dei conti il lievito c'è...
Poi era tardi, e dovevo andare al lavoro. E c'erano le foto da fare, e l'articolo da scrivere. Alla fine, di tre hamburger sono riuscita a farne uno, e nemmeno come avrei voluto.

Gli hamburger della sopravvivenza

200 g di manzo macinato
un pomodoro
un velo di senape di Digione
cipolla cruda
qualche fettina di cheddar stagionato
sale
broccoli

Per il pane, ho seguito la ricetta di Arianna, alias Saparunda. Ricetta, che, tra parentesi, sono sicura che è ottima, e anzi, mi scuso per come ho maltrattato i suoi panini.
Ho preparato la polpetta con la carne, l'ho fatta cuocere nella padella antiaderente senza niente, l'ho salata e l'ho messa nel panino insieme agli altri ingredienti.
I broccoli cotti in padella, sono stati il contorno dell'ultimo minuto, dopo aver constatato che le patate, comprate tre giorni fa, sono già belle verdi.



 Lo so, il panino non è lievitato affatto. Me ne sono accorta.
Con questa schifezza ricetta partecipo, con molta vergogna, all'MTC di Giugno.

sabato 6 giugno 2015

Storie dal bush

Era una notte buia e fredda
Era una notte buia e fredda di questo fine autunno australiano che tanto assomiglia all'inverno pieno.
Erano le 5 del mattino e stavo percorrendo, in perfetta solitudine, i 300 km che separano Perth dal paesino nel bush dove viviamo.
La macchina viaggiava nella notte nell'oscurità più assoluta, gli abbaglianti accesi, le piante della boscaglia che sfilavano ai lati della strada, indistintamente illuminate dai fari. Nessuna luce, nessuna altra macchina.
Arrivo ad una specie di stazione di servizio completamente isolata e decido di fermarmi per vedere se i bagni, sul lato dell'edificio, sono aperti. 
Come esco dalla toilette delle donne, diretta alla macchina, sento un rumore, che nel silenzio rimbomba come uno sparo.
Passi. Passi dietro di me, passi che mi seguono. Io sono da sola, e il cuore mi balza in gola.
Passi tranquilli, consci che non ho scampo, che basta un balzo per raggiungermi e che qui in mezzo al nulla posso urlare finché voglio, ma nessuno mi sentirà mai.
Affretto il passo. Cosa mi devo aspettare? riuscirò a raggiungere l'auto? è un tentativo di rapina o peggio?
Passano istanti lunghi come anni. Infine decido che devo sapere, voglio vedere chi mi segue, voglio misurare il pericolo, captare nei suoi occhi le intenzioni. Così mi volto. 
Dietro di me, ci sono tre tacchini.

Punti di vista australiani
(tra parentesi i miei pensieri)
- Senti, ho sentito una cosa sull'Italia che mi sembra davvero strana... 
(oddio, spero che le gesta dei politici italiani non siano giunte fin qui. Cosa mi può chiedere? niente domande su Berlusconi, per favore) 
- Ma certo, dimmi!
(ecco me lo sento, è una domanda sulla politica. Oppure sulla situazione degli immigrati? o sull'economia?gosh)
- Quello che volevo sapere è... ma è vero che in Italia a Giugno comincia l'estate? no, perché l'estate a Giugno è una cosa stranissima.. voglio dire, a Giugno è inverno!!!
Scommetto che il mio sospiro di sollievo è arrivato fino in Italia. 

Le avventure di Torcina e della benzina che non c'era
Ore 22.30: di ritorno dal lavoro, noto che l'indicatore della benzina di Torcina, la mia macchina, si sta avvicinando a "vuoto" e decido di fare rifornimento.
Ore 22.40: gli unici due distributori del paese sono chiusi e qui il self service come c'è in Italia, tramite importo prepagato, non esiste. Qui fai benzina e vai a pagare al casottino. Se quello è chiuso devi rassegnarti. Ci sarebbe la macchina di mio marito, ma dubito che abbia abbastanza carburante.
Ore 23.00: sono a casa, e cerco su internet un distributore aperto 24 ore.
Ore 23.15: ne trovo uno, mi segno la strada per arrivarci e vado a dormire.

Ore 4.00: sveglia, colazione e preparazione per andare al lavoro.        
Ore 4.45: esco di casa e salgo in macchina.
Ore 4.46: il parabrezza è ghiacciato. Rientro, riempio una bottiglia di acqua tiepida, ce la verso sopra e parto, diretta al distributore che ho trovato su internet.
Ore 4.55: sono nella strada indicata, ma qui di distributori nemmeno l'ombra.
Ore 5.00: decido che forse la benzina è abbastanza per andare al lavoro. Dopotutto sono solo 55 chilometri...
Ore 5.05: svolto sulla statale e slitto leggermente. Do un'occhiata: l'asfalto brilla. E' ghiaccio. Ma benone.
Ore 5.17: sono a 15 km dal paesino dove vivo e a 40 da quello dove lavoro, La strada è deserta. E l'indicatore della benzina, con uno scatto, si sposta sulla linea rossa di "vuoto".
Ore 5.18: le mani mi tremano talmente tanto che non riesco a guidare, e non è per il freddo. Accosto. Se finisco la benzina qui, su questa strada deserta e senza copertura per il cellulare, rischio l'assideramento. 
Ore 5.19: faccio dietrofront e torno a casa, incrociando tutto l'incrociabile di arrivarci.
Ore 5.30: sono a casa. E tra mezz'ora dovrei essere al lavoro. Provo a telefonare, ma la collega del turno di notte dev'essere impegnata e non risponde.
Ore 5.35: prendo la macchina di mio marito. Non so se la benzina basta, diciamo che lo spero.
Ore 5.36: sto volando sulla strada, incurante del ghiaccio (la strada comunque è asciuttissima), dei canguri che potrebbero apparire all'improvviso, della nebbia che a tratti riduce la visuale.
Ore 6.05: arrivo al lavoro. La mia collega, alla quale racconto l'avventura, mi fa una meritatissima lavata di capo sul correre con la macchina di notte, sulle strade buie del bush. 
Non si corre di notte. Sei pazza? ci sono i canguri. Non lo fare mai più. 

Ore 14:30: arrivo a casa. Ora devo fare benzina con Torcina. Riuscirò ad arrivare al distributore? se non altro la temperatura è salita e sono in paese, anche se resto a secco non rischio la vita.
Ore 14.35: sono al distributore e faccio il pieno. La fortuna mi ha arriso.

domenica 24 maggio 2015

Trionfo di pomodoro al profumo d'Australia

Eccomi di nuovo all'MT Challenge, con connessione internet nuova di zecca. 
Questo mese la sfida proposta da Paola verte sul piatto più facile e più complesso che esista, quello che tutti gli Italiani hanno mangiato almeno una volta, quello di cui ogni famiglia ha una ricetta: la pasta col pomodoro.
Potrei dire che questi due ingredienti base - la pasta di grano duro e il pomodoro - costituiscono uno dei cardini della nostra cucina. 


Il problema era inventare una ricetta originale e farlo qui, in Australia, dove la pasta non è uno dei cardini della cucina e i pomodori, essendo autunno inoltrato, fanno abbastanza schifo. 
Mi sono messa a pensare. 
Io ho la tendenza ad infilare qualcosa del posto in cui vivo in ogni piatto che cucino. Questo perchè credo fermamente che la conoscenza di un luogo passi anche attraverso il cibo. Inoltre, per me che sono espatriata, coniugare il mondo che conosco e che mi è familiare col nuovo mondo in cui mi sono trasferita è una necessità quotidiana. 

C'è un capitolo della cucina australiana che mi è completamente ignoto e che trovo assolutamente intrigante: è quello che riguarda il bush food, le piante selvatiche commestibili australiane. 
Ho pensato di cominciare a creare la mia ricetta da lì. E quale pianta è più appropriata, per questa sfida, del bush tomato?
Ovviamente tra il dire e il fare c'è di mezzo il fatto che il bush food non è in vendita nei supermercati, nè grandi nè piccoli, è assente dai mercati settimanali dei coltivatori locali ed è, generalmente, difficilissimo da reperire. L'unica eccezione è data dalle noci macadamia, originarie del Queensland.
Dopo lunghe inutili ricerche, mi sono rassegnata a comprare una salsa di pomodoro che contiene il 10% di bush tomato. Il sapore è comunque piuttosto forte. 
Provo a descriverlo: il primo termine di paragone è con i pomodorini secchi. Pomodorini secchi molto aromatici. Poi si avverte una nota dolce, come caramellata, e infine un retrogusto che mi ricorda il timo. Come potevo usare questa salsa così aromatica?

Poi c'era il problema della pasta. Forse nelle grandi città australiane c'è più scelta, ma qui nel paesino del bush l'alternativa è tra la pasta australiana con la marca del supermercato e la pasta importata di una nota marca italiana di cui non voglio fare il nome. 
Ho avuto delle brutte esperienze, con questa marca: già non era tra le mie preferite, ma comprandola all'estero ( in posti diversi e in formati diversi) il sapore era pessimo, come se per le partite di pasta destinate all'estero venisse usato un grano duro di qualità scadente. Mi sono ripromessa di non acquistarla più.
La pasta del supermercato invece, per quanto diffidente, si è rivelata buona. Certo, non è la pasta di Gragnano, però è di qualità accettabile, ha un buon sapore e non diventa colla dopo due minuti di cottura.


Ho scelto di usare i pomodorini secchi e l'aglio cotto al forno, dall'aroma leggermente caramellato, per riecheggiare il sapore del bush tomato. Ho quindi scelto di unire le noci macadamia per dare al piatto una nota croccante ( e assolutamente australiana).
"Trionfo di pomodoro al profumo d'Australia" è il titolo che ho deciso di dare al mio piatto. Anche "Pomodorismi" mi piaceva, ma insomma, sono andata sul tradizionale :)
Se avessi dovuto dare il nome al piatto in base alla sua composizione, avrei dovuto chiamarlo così:

Pasta al pomodoro del bush con pomodori ciliegini, noci macadamia e aglio infornato su cracker ai pomodorini secchi

Ingredienti per il cracker
5 pomodorini secchi
due tazze di farina
mezzo cucchiaino di zucchero
mezzo cucchiaino di lievito in polvere
olio
un pizzico di peperoncino in polvere
sale

Ingredienti per la pasta
200 g di fusilli
200 ml di passata di pomodoro al bush tomato
250 di pomodori ciliegini
2 teste d'aglio
50 g di noci macadamia
olio
timo
sale 

Per il cracker, ho messo i pomodorini secchi in ammollo in una tazza piena d'acqua calda per una ventina di minuti. Li ho quindi privati della pelle e frullati con tre cucchiai di farina, fino ad ottenere un composto omogeneo.


Ho aggiunto un pizzico di peperoncino, il resto della farina e ho amalgamato. 
Ho quindi filtrato l'acqua dell'ammollo dei pomodorini e l'ho aggiunta ad una mezza tazza di acqua tiepida. Ci ho sciolto dentro il lievito con una punta di cucchiaino di zucchero. Quando ha iniziato a fare le bolle l'ho aggiunto alla farina insieme ad un filo d'olio e ho impastato. Quando l'impasto ha iniziato ad incordare ho aggiunto il sale. 
Ho fatto lievitare fino al raddoppio, quindi ho steso l'impasto a 2-3 mm di spessore e ne ho ricavato delle losanghe che ho fatto cuocere per 20' in forno a 200°C.


Mentre i crackers raffreddavano, ho preso due teste d'aglio (l'aglio che trovo qui ha spicchi rosa piuttosto piccoli, e gusto delicato).


L'ho condito con olio e timo e l'ho infornato per una ventina di minuti a 200°C, finchè non è diventato morbido, quasi cremoso.

Ho quindi messo a bollire l'acqua per la pasta, alla quale ho aggiunto la salsa col bush tomato.


Mentre la pasta cuoceva, ho fato saltare in padella i pomodorini ciliegia precedentemente sfilettati con un filo d'olio e due rametti di timo. Ho aggiunto la crema d'aglio e vi ho quindi versato dentro la pasta. 
Ho disposto un cracker sul piatto, vi ho adagiato sopra la pasta e spolverato con le noci macadamia tritate.


Con questa ricetta partecipo all'MTC di Maggio.

venerdì 22 maggio 2015

Fatti su questa parte del mondo, parte seconda

La pubblicità è l'anima del commercio
Qualche settimana fa, mio marito ed io eravamo in macchina e ci siamo trovati davanti un camioncino con una gigantesca scritta sul retro: POO 2 YOU. Il tutto era correlato da disegnini marroni raffiguranti una mucca e una pecora. Arrivata a casa, per curiosità ho digitato "Poo 2 you" su internet: si tratta di un servizio di consegna di letame a domicilio. 
E' tutto "tried and tested by generations" e ogni dieci sacchi uno è gratis. Affrettatevi :)

Odd spots
- Sapevi che per alleviare il gonfiore della fase pre-mestruale è sufficiente una borsa dell'acqua calda?
Non ho mai capito che senso abbia scrivere delle frasi sugli assorbenti. 
In ogni caso, invece delle perle di saggezza sul ciclo mestruale offerte da una nota marca distribuita in Italia, qui in Australia vengono dispensati consigli pratici ed informazioni essenziali per la vita di tutti i giorni. Eccone qualcuno:
- Sollevando lentamente le gambe e sdraiandosi sulla schiena non è possibile affondare nelle sabbie mobili.
- In Australia i canguri sono in numero doppio rispetto agli esseri umani.
- Fino al 1990, nella Germania dell'Est, le salsicce erano considerate valuta legale.
- L'althaiophobia è la paura dei marshmallows.

Per ogni evenienza
Un paio di mesi fa ho sostenuto qui l'esame di teoria di guida, necessario per il riconoscimento della patente italiana. In mezzo alle solite domande sulle precedenze, gli effetti dell'alcool e l'uso degli abbaglianti ce n'erano alcune che mi hanno lasciata piuttosto perplessa, del tipo:
- Qual è il comportamento corretto da adottare in caso di guasto ai freni mentre stai guidando?
Per quanto lieta di aver imparato la migliore procedura da adottare in questa circostanza, non posso fare a meno di chiedermi il motivo per cui questa domanda sia stata inserita tra quelle d'esame.
Mi auguro fortemente che non sia un evento che accade spesso...

Possum chat
Su una radio locale c'è il momento "Possum chat", dove la gente telefona e racconta le proprie esperienze con gli opossum. Una cosa di questo genere:
(musichetta) Possum chat, possum chat, possum chat...
- Ciao, mi chiamo John. Ho un opossum in giardino che è molto feroce e aggressivo. Ma lo amo lo stesso.
Presentatori: Grazie, John!
(musichetta) Possum chat, possum chat, possum chat..
- Io sono Samantha. Ho visto un opossum sui binari del treno, ieri. Almeno credo, forse era un topo.
Presentatori: questo rientra comunque nella possum chat!
(musichetta) Possum chat, possum chat, possum chat...

Buona notte
Su un'altra radio, intorno alle 20.30 di sera, parte una musichetta tipo ninnananna, accompagnata da un tizio che canta una cosa del tipo: "Ovunque tu sia, in Western Australia, ti auguriamo buona notte".

mercoledì 13 maggio 2015

E' femmina!

No, non sono assolutamente incinta. 
Sembra quasi strano, dal momento che tutte le trentenni che conosco (e non solo loro) in questo momento sono in dolce attesa o hanno appena partorito. Proprio tutte.

Qualche giorno fa ero al lavoro. E' arrivata una mia collega e la prima cosa che mi ha detto è stata:
- Hai visto? è femmina!!
- Ah - ho risposto io - Chi?
- Ma come chi! la figlia di Kate!!

Al che, visto che abito in Australia e il nome Kate non è così infrequente, ho pensato che si trattasse di qualcuno che conoscevo. Mi sono spremuta le meningi, ma non mi veniva in mente nessuna Kate. Il problema è che io i nomi delle persone non li ricordo mai, a meno che non siano amici o qualcuno che vedo molto spesso. 
Ho pensato che Kate fosse la figlia/sorella di una delle mie colleghe, qualcuno che magari ho intravisto una volta e che la mia collega pensava che ricordassi, così ho abbozzato un sorriso finto e ho fatto un commento  tipo: "Ah, che bello!".
Io sono assolutamente ignorante in fatto di gossip, così ci ho messo un po' per capire che la Kate in questione era la moglie di William, il principe. 

Poi ho incontrato un'altra collega, che mi ha salutata e mi ha detto:
- Hai visto? E' femmina! chissà come la chiameranno...
E io, ringalluzzita dalla consapevolezza che si stava parlando della figlia di Kate, e certa che l'argomento non potesse avere altre incognite, me ne sono uscita con un:
- Beh, ma l'avranno già deciso il nome, no? hanno avuto nove mesi per pensarci!
Sguardo allibito, a cui segue la spiegazione: gli eredi della casa reale inglese restano innominati per tipo una settimana dalla nascita. Mi sono sforzata, ma il motivo non sono riuscita a capirlo.

Più tardi c'è stata la pausa caffè. Ecco qualche stralcio della conversazione:
- E' femmina!
- E' bellissima, più del fratellino.
- Secondo me la chiameranno Diana.
- Kate non sembrava nemmeno che avesse partorito, era così rilassata..
- Chissà se William ha assistito.
- Magari la chiameranno Vittoria... anzi no, Elisabetta, come la nostra regina. 
- Ma si troveranno le tazze con la foto della principessina?
- Che poi Diana era una santa. Se penso che la casa reale inglese l'ha fatta uccidere per fare posto a Camilla...
- Vittoria, secondo me la chiameranno Vittoria.

Adoro gli Australiani. Sono così stupendamente anacronistici, come se fossimo ancora in epoca coloniale. Chissà quando si decideranno ad ottenere l'indipendenza dal Regno Unito.

Comunque sia, passando a cose serie, ovvero al titolo del post, la gatta randagia che vive nel mio giardino è femmina. Così sono due femmine, lei e la sorella. Mannaggia. 
Il veterinario (l'unico del paese) mi ha chiesto 860 dollari per mettere il microchip e sterilizzare entrambe, più il prezzo delle vaccinazioni. Solo a me sembra una cifra folle?
D'altro canto, noi possiamo sfamare due gatte, non due gatte e un numero in crescita esponenziale di piccoli e teneri micetti. Urge trovare una soluzione.

venerdì 1 maggio 2015

Aggiornamenti

E' passato quasi un mese dall'ultimo post. La ragione di questa assenza è dovuta in parte ad un blackout tecnologico (sono stata senza connessione internet per un bel po'), in parte al fatto che, dopo anni in cui ho sognato questo momento, sono occupata. Ho finalmente lasciato lo status di casalinga e moglie al seguito e ho una vita più piena e interessante di quanto non abbia avuto negli ultimi anni.

Di sicuro la parola chiave di questo periodo è "adattamento".
I cambiamenti ovviamente mettono sempre un po' in subbuglio: occorre riassestare nuovi ritmi e abitudini e creare una nuova routine. Ho scoperto di avere capacità che non pensavo di possedere e alcune cose che non avrei mai immaginato possibili prima sono diventate parte della mia routine quotidiana. Dopo anni di letargo casalingo, in cui l'attività più emozionante della giornata era cucinare la cena, mi sento estremamente vitale, per quanto stanca.

La nostra casetta nel Paesino nel Bush è stata arredata completamente con i mobili che abbiamo comprato e montato con le nostre manine. Ci siamo ormai abituati al "bagno vintage", dove il lavandino ha il rubinetto per l'acqua calda e quello per l'acqua fredda (niente miscelatore) e la doccia, anche aperta al massimo, non offre di più che un filo d'acqua. 
Siamo diventati avvezzi alla fauna casalinga: oltre ai due ragnoni che non abbiamo il coraggio di ammazzare (un redback dietro la porta del bagno e un ragnone nero enorme in un angolo della finestra del salotto) abbiamo due micini che cercano continuamente di entrare in casa ormai vivono nel nostro giardino sul retro. A condividere questo spazio con i gattini c'è una coppia di magpies, le gazze australiane, che spesso entra in competizione con i micetti per il cibo e ci delizia  - sono ironica - col suo canto ad ore improbabili del mattino. Sempre ad ore assurde (tipo le due del mattino) si mette a cantare anche quell'idiota del gallo dei vicini, a cui prima o poi dovremo regalare un orologio.
C'è anche un kookaburra che vive nelle vicinanze, ma per fortuna canta solo di giorno (cercate su Youtube il suo canto :) ). Ci sono anche alcuni galah (pappagalli rosa e grigi) che sorvolano quotidianamente il giardino e vorrei poter dire basta. 
Purtroppo, ieri pomeriggio uno dei micetti si è intrufolato in casa.. e ha catturato e mangiato un topolino nascosto nella laundry, la stanza della lavatrice (dove c'è la porta sul retro). Ce n'era solo uno? era un ospite occasionale? ho una colonia di topi in casa? sono arrivati anche in cucina? Come hanno fatto ad entrare? cosa dovrei fare adesso? Queste sono solo alcune delle domande che mi stanno rimbalzando per la testa da ieri sera. Per precauzione, stamattina ho fatto entrare i gattini tre o quattro volte, ma non hanno percepito nessun altro topo.

Bestie a parte, stiamo anche iniziando a socializzare. Abbiamo invitato diverse persone a cena, abbiamo ricevuto a nostra volta inviti, e in generale stiamo iniziando ad integrarci in questo piccolo paese in mezzo alle colline. 

Non ho ancora trovato un medico di famiglia degno di questo nome, nè tanto meno un ginecologo (qui nel paese non ce ne sono), ma pazienza, sono sicura che troverò qualcuno da consultare in caso avessi bisogno.

Le due novità più importanti riguardano però il lavoro e i mezzi di trasporto. 
Ho un lavoro. Ho un lavoro. Ho un lavoro. Forse sono monotona, ma dopo un mese dall'inizio del mio contratto ancora mi sembra un sogno. Ho un lavoro a tempo indeterminato su turni, uno stipendio - più alto di quanto abbia mai avuto - che arriva ogni due settimane, un ambiente di lavoro piacevole e rilassato e una manager disponibile e intelligente. Forse non è il lavoro della mia vita, ma sono felice quando sono di turno, anche se si tratta delle nove lunghissime ore del turno di notte. 

Per andare al lavoro (55 km di distanza da qui) uso la mia macchina. La mia macchina, qualcosa che non avevo mai pensato di poter possedere, soprattutto perchè in Italia ho guidato pochissimo.
E invece un giorno siamo andati a Perth, da un rivenditore di auto usate, e ho comprato la mia macchina, pagandola di tasca mia e sentendomi all'improvviso dentro un film, uno di quei vecchi film americani dove i protagonisti comprano un'auto con nonchalance, come se fosse una cosa da tutti i giorni, e poi la usano per scappare dal cattivo di turno che li sta inseguendo.
La mia macchina è molto di seconda mano: ha iniziato a girare sulle strade australiane quando io avevo 12 anni. Ha l'oscuramento dei vetri (tinting windows, come si dice in Italiano?) che fa le bolle e si stacca a striscioline, (a causa di questo piccolo problema il lunotto posteriore permette di intravedere vagamente la sagoma di quello che c'è dietro ma nulla di più) la chiavetta antifurto da inserire prima della chiave (altrimenti la macchina non parte), e infine il mio accessorio preferito: il mangiacassette. Che non so se funziona o no perchè non sono ancora riuscita a reperire una cassetta, ma questa è un'altra storia.

Ho chiamato la mia macchina Catorcina, Torcina per gli amici. 
Nonostante tutto, Torcina è un'ottima macchinina. Se si esclude l'ago del tachimetro, che ogni tanto schizza a 150 quando io non sto guidando a più di 80 km/h, è una macchina favolosa. 
Il mio apprezzamento nasce soprattutto dal fatto che per ben due volte mi sono scordata i fari accesi per 8-9 ore e lei si è messa in moto senza problemi. 
Io e lei siamo diventate il divertimento dei benzinai, che immagino se la spassino un sacco a vedere quanto sono imbranata, come la volta che sono riuscita ad entrare nella stazione di servizio passando dall'uscita, mi sono fermata davanti al distributore bloccando il passaggio di tutte le altre macchine e ho fatto benzina nel senso opposto a quello in cui mi sarei dovuta mettere. Quando sono ripartita avevo addosso gli occhi del gestore e di tutti i clienti, pronti a vedere da che parte sarei uscita per farsi ancora quattro risate.
Comunque, Torcina è soprattutto la mia inseparabile compagna di quando vado al lavoro e le ripeto tutte le cose che devo fare e di quando torno dal lavoro, magari in piena notte o alle sei del mattino dopo il turno notturno e canto a squarciagola le sigle dei cartoni animati per non addormentarmi.
Con lei guido attraverso il bush australiano, con i canguri che sbucano fuori all'improvviso, i conigli che saltellano qui e là, i bandicoots e tutte le altre bestie autoctone di questa zona. 

Qualche giorno fa erano le 22 passate e stavo tornando a casa dal turno del pomeriggio. La strada dove passo è buia, nel senso che non c'è nemmeno un lampione, la luce di una casa, nulla. Cinquantacinque chilometri di tenebre assolute, una strada buia che si snoda tra i campi di grano, con le stelle che ti scintillano sulla testa, così tante che non riesci nemmeno a riconoscere le costellazioni, le Nubi di Magellano che sembrano luminosissime e la Croce del Sud che brilla laggiù, sopra alle colline. 
In questi giorni i contadini stanno bruciando le stoppie del grano prima della nuova semina, e quella sera c'erano un sacco di fuochi semi-spenti e tantissimo fumo sulla strada. Ad un certo punto, scendendo da una collina ho visto davanti a me qualcosa di bianco, una macchia dalla forma indistinta. Fumo, ho pensato. Gli abbaglianti di Torcina non sono un granchè, bisogna dire: ero a circa dieci metri di distanza quando mi sono accorta che si trattava di circa una ventina di pecore, le enormi merino che ci sono qui, ferme in  mezzo alla strada. Cosa ci facessero lì o come e perchè abbiano passato le recinzioni non sono in grado di dirlo. 
Ho rallentato fino a fermarmi, incerta sul cosa fare. Aspettare? e per quanto? suonare il clacson? e se si fossero sparpagliate per la strada o peggio, impaurite, mi fossero venute addosso? con la stazza e le corna che hanno, Torcina ne sarebbe uscita ammaccata. Più di quanto non sia già, intendo. 
Mentre pensavo a quale fosse la cosa migliore da fare, è sopraggiunta un'altra macchina e ha dato un colpetto di clacson, leggero leggero. Gli animali si sono spostati in gruppo sul lato della strada, per fortuna senza disperdersi, e siamo potuti passare.

Quasi quattro mesi di Australia. La sto vivendo, la sto mangiando, mi sto ingozzando di sensazioni nuove e sconosciute, il profumo degli alberi del bush di notte, le corse con Torcina su e giù per le colline, il candore della sabbia sulle spiagge, la gioia di avere un lavoro, il sapore del quandong, le gite nei parchi nazionali con mio marito, la risata del kookaburra, riuscire a capire tutto quello che dicono le persone, il dorso spinoso dell'echidna, le farfalle grandi come la mia mano, i fiori, i colori, i profumi, le cose che prima nemmeno sapevo che esistessero. 
Quasi quattro mesi, che possono essere tanti o pochi a seconda del punto di vista, ma sono i nostri primi mesi in questo continente stupendo, che per quanto diverso, lontano e pericoloso ci ha già rubato il cuore. 

lunedì 6 aprile 2015

Le 10 cose che un expat fa ma non dice

Quasi tutti i blog che trattano di vita all'estero che seguo hanno questo post. Oggi ho deciso di accodarmi al gruppo e scrivere la mia lista. 

1- Se non sei al primo espatrio, sentire la mancanza lancinante degli amici che hai lasciato in altre parti del mondo durante i tuoi precedenti espatri. 
Persone che magari sono ancora lì, nel paese dove le hai conosciute e che continuano la vita che fino a poco tempo prima ti era così familiare, oppure persone che sono partite per un altro paese, o che sono tornate nel proprio. 
Poi fai due conti e realizzi che hai amici in tutto il mondo.. e anche che la Terra è grande, noi siamo piccini e chissà se capiterà l'occasione di rivedersi ancora.

2- Renderti conto che le amicizie che avevi in Italia si sono ridotte. 
Tu sei partita per altri lidi, per una nuova vita, e i tuoi amici sono rimasti lì, a fare la vita di sempre. 
Con alcuni i rapporti si mantengono, ci si scrive mail, ci si sente su Skype, ci si vede quando è possibile. Con altri i rapporti si spezzano, perchè non c'è più nulla in comune. 

3- Capire alcuni aspetti del'Italia meglio di quando abitavi lì. In meglio e in peggio.
Se vivi in un paese dove l'assicurazione sanitaria è un must, il sistema sanitario italiano ti sembra un sogno.
La politica italiana invece, vista da fuori mi fa ancora più impressione di quando abitavo in Italia, specialmente facendo il paragone tra i leader dei partiti politici italiani con quelli esteri. 

4- Questa è un classico: girare il supermercato alla ricerca di prodotti che non ci sono.
No, quei cubetti che vedi nel banco frigo non c'entrano niente col lievito di birra fresco. No, nemmeno quelli là. Rassegnati. 
Quanto allo stracchino, hai una mezza idea di scrivere a Nonno Nanni per sapere se gli stracchini volanti della pubblicità arrivano anche in Australia. 

5- Rassegnarti al fatto che il cibo italiano cucinato all'estero non ha lo stesso sapore di quello a cui eri abituata, anche se gli ingredienti sono gli stessi.
In compenso vivere all'estero ti permette di scoprire ingredienti nuovi, che piano piano entrano a far parte dei tuoi piatti e diventano un tassello del puzzle multiculturale in cui ormai ti sei trasformata.

6- Avere una paura matta delle strade, specie se ti tocca guidare di notte o di prima mattina.
Da quando vivo nel bush, le strade sono diventate sinonimo di pericolo molto di più di quanto non lo fossero prima, a causa degli animali che possono tagliarti la strada all'improvviso mentre stai guidando.
Tanto per rendere l'idea, nelle ultime 24 ore mi hanno tagliato la strada improvvisamente, mentre guidavo, quattro conigli e un canguro.

7- Quando hai gente a cena, prepararti a ripetere cento volte: "No, l'ho fatto io".
- Buono questo sugo! dove l'hai comprato?
- No, non l'ho comprato, l'ho fatto io.
- La pasta è buonissima! che marca è?
- Ehm.. no, l'ho fatta io.
- La base di questa torta salata però l'hai comprata surgelata, vero? e i pasticcini?
- ......

8- Tranne rarissime eccezioni (solo una, in effetti, quando abitavo in Medio Oriente) evitare i contatti con altri Italiani espatriati.
Sono un po' orso, sì.

9- Essere curiosissima sui cibi, usi e costumi e tradizioni non solo del paese ospitante, ma anche sui paesi d'origine degli altri espatriati che incontri.

10- Scattare un milione di foto per ogni gita, passeggiata o paesino nuovo visitato durante il weekend. E non parliamo dei fiori, o degli animali, o delle rocce...

domenica 29 marzo 2015

An impressive résumé: alla ricerca di un lavoro nel bush

Io ho avuto un percorso universitario peculiare. Dopo il liceo mi sono iscritta ad un corso di laurea scientifico molto particolare, che ho lasciato con molto dolore dopo tre anni per idiosincrasia matematica. In parole spicce, i numeri mi odiavano. Quanto più io mi sforzavo di capire, tanto più loro diventavano incomprensibili ed arcani, rifugiandosi tra matrici e valori assoluti e annidandosi nel cuore di funzioni e integrali per me impossibili da risolvere.
Dopo questa esperienza ho deciso di cambiare radicalmente, e, molto per caso, mi sono buttata nelle professioni sanitarie. Qui è andata molto bene, ma io non ero soddisfatta e, con un (grosso) briciolo di follia, una volta presa la laurea mi sono iscritta ad un altro corso universitario ancora, noto per la sua lunghezza e la sua complessità. 
Poi ho conosciuto mio marito, ho interrotto il corso, ci siamo sposati e mi sono trasferita in Medio Oriente, dove ho fatto la casalinga a tempo pieno. 

Tutto ciò, come si può immaginare, non ha giovato granché al mio curriculum lavorativo.
Quando abbiamo cominciato a parlare di Australia, ovviamente la prima cosa che ho fatto è stato vedere se la mia laurea qui era riconosciuta. E' saltato fuori un lungo elenco di documenti che avrei dovuto presentare per il riconoscimento, di cui una parte spediti direttamente qui dalla mia università italiana (in inglese, ovviamente). 
Sorvolo sull'espressione assunta dal personale della segreteria dell'università quando, dopo tre ore di attesa, ho spiegato di cosa avevo bisogno, nonché sulla risposta che ho ricevuto.
C'erano anche svariati problemi, riguardo ad alcuni dei documenti richiesti e, dopo varie telefonate in Australia per capire cosa dovevo fare, mi sono rassegnata a non ottenere il riconoscimento della laurea. 

Ho poi saputo che qui ci sono tantissime persone, di tutte le nazionalità, nella mia situazione, e che il problema viene risolto frequentando qui uno speciale corso. Ovviamente il corso inizia a Gennaio, e io ne ho scoperto l'esistenza a Marzo. 
Pertanto mi sono detta, pazienza, quest'anno mi cercherò un lavoretto qualunque e nel 2016 frequenterò il corso.

Come si trova un lavoretto qualunque, nel bush? La prima cosa che ho pensato è stato di provare con le agenzie di lavoro interinale. 
Qui nel paesino dove vivo ce n'è una e apre un giorno alla settimana. Mai lo stesso, ovviamente: tutte le volte che ho provato ad andare l'ho trovata chiusa. 
Ho provato allora a consultare i giornali locali, ma senza grande successo. Infine mi è stato chiaro che qui tutto funziona tramite internet. 
Sono quindi diventata un'assidua frequentatrice di Seek, CareerOne, Gumtree e molti altri.

La prima cosa che mi è stata chiara è che per trovare lavoro nel bush bisogna avere una macchina ed essere disposti a farsi molti chilometri al giorno (anche 200 e più) per poter lavorare.

Il problema fondamentale comunque, è che da queste parti, come ho già detto in post precedenti, il business sono le pecore e i cereali, quindi la maggior parte dei lavori hanno a che fare con queste due cose. Tosatori, autisti di macchine agricole ( in questo momento c'è un boom di richieste per guidare l'air seeder, un aggeggio per seminare il grano) e persone esperte nel costruire palizzate per contenere il bestiame sono le figure al momento più richieste.
Tutti con esperienza, ovvio. 
Poi ci sono i lavori riservati ai backpackers, solitamente ragazzi che arrivano qui col visto temporaneo per lavorare e fanno i lavori più svariati (spesso sottopagati). Ho provato ad inviare alcuni curriculum per questi lavori, ma non essendo io una backpacker non sono mai stata considerata.

Ho ovviamente inviato il curriculum per tutte le (poche) posizioni che esulavano da queste due categorie, da cassiera del supermercato ad addetta alla pompa di benzina.
Ho dovuto compilare assurdi questionari sulle mie opinioni a proposito di come far crescere aziende che non avevo mai sentito nominare e sul perchè pensassi che lavorare alla pompa di benzina possa contribuire alla mia crescita personale (???). Ho dovuto compilare moduli folli con richieste tipo: "Elenca tutte le volte in cui hai subito una radiografia e indica il motivo". 
Ho inviato anche curriculum per lavori di cui non ho nessuna esperienza e che però mi attirano, ad esempio quelli nelle aziende di catering. 
Non ho ottenuto nulla. In un paio di casi mi sono arrivate delle cortesi e-mail standard in cui mi veniva detto che nonostante il mio "notevole curriculum" purtroppo non ero stata scelta. Mi sono fatta quattro risate e ho proseguito la ricerca.

Ho trovato anche degli annunci per un paio di lavori casual (cioè saltuari, chiamano quando hanno bisogno) in ambito sanitario, uno in una struttura privata e uno in un ospedale, entrambi distanti svariate decine di km dal paesino dove vivo. Le figure professionali richieste non hanno un corrispettivo esatto in Italia, in ogni caso non richiedevano una laurea, così mi sono candidata.
Infine ho inviato il mio curriculum anche per un lavoro di segretaria part-time di studio medico in un posto ancora più lontano. Solo sei ore alla settimana, ma tutto fa brodo.
Il tutto, ovviamente, senza avere molte speranze e sempre con un occhio sulle nuove offerte disponibili online.

Una settimana fa mi ha contattata la struttura privata a cui avevo inviato il curriculum, per fissare un colloquio. Il mio curriculum è notevole, mi ha detto la signora con cui ho parlato. 
Penso di essere rimasta con la bocca aperta: una laurea non riconosciuta e un buco lavorativo di tre anni e mezzo non mi sembrano proprio il massimo.
- E' un peccato per la laurea non riconosciuta - ha continuato la dirigente - altrimenti ti avrei potuta assumere per il lavoro per cui hai studiato.. ma intanto, se per te va bene, potresti ricoprire questa posizione. 
- Va benissimo - ho detto, ancora incredula.

Ieri ero in macchina con mio marito, di ritorno da un giro in un parco nazionale, quando il mio cellulare ha iniziato a squillare.
Era l'ospedale al quale avevo inviato il curriculum.
- Siamo rimasti impressionati dal suo curriculum, ci terremmo tantissimo ad averla nel nostro staff - mi ha detto una voce femminile - possiamo vederci per un colloquio?
Continuo a chiedermi che COSA ci sia di interessante nel mio curriculum. 

Al termine della telefonata, scherzando, ho detto a mio marito che se mi avessero chiamato anche per la posizione di segretaria di studio medico avrei declinato l'offerta.
Dieci minuti dopo squilla di nuovo il cellulare.
- Salve, la chiamo per il lavoro di segretaria part time - ha detto una voce - abbiamo scelto il suo curriculum e vorremmo incontrarla per un colloquio...
Al che ho bloccato la mia interlocutrice spiegando che avevo già trovato lavoro.
- Peccato - ha commentato lei - ma sono sicura che svolgerà ottimamente l'occupazione che le hanno offerto. Del resto, con un curriculum come il suo....

Sono basita, davvero. Soprattutto di aver ricevuto due offerte di lavoro a dieci minuti di distanza una dall'altra e di sabato, giorno che qui è assolutamente festivo.
Posso solo immaginare che debba esserci una carenza mostruosa di figure che lavorino in ambito sanitario, cosicché anche il mio curriculum possa apparire appetibile. 

In ogni caso, ora ho trovato lavoro :)

lunedì 23 marzo 2015

Ma tu sei razzista? no, sei tu che sei Italiana

Quando ero una ragazzina, c'è stata un'estate in cui questa barzelletta idiota andava di moda: "Ma tu sei razzista?" e la risposta era: "No, sono loro che sono negri". Non mi ha mai fatto ridere, nemmeno allora. 
Io sono una persona piena di difetti e insicurezze, ma quando prendo in antipatia una persona, è sempre qualcuno che conosco molto bene e dietro il mio astio c'è un motivo ben preciso, una lite, delle parole che mi hanno fatto male, un torto che ho subito.
Non mi è mai successo di provare antipatia per una persona senza conoscerla. Guardare male qualcuno solo perchè la sua pelle ha un colore diverso dal mio lo trovo il massimo della follia. 

Quando sono espatriata in Medio Oriente avevo paura di essere discriminata perchè diversa, perchè Occidentale. In realtà, nei tre anni passati lì, ho avuto forse una esperienza di questo genere. Una sola. Ho trovato gli Arabi cortesi e con un senso dell'ospitalità meraviglioso e innato. 

Di sicuro non mi sarei mai aspettata di sentirmi discriminata in Australia. Non sono forse gli Australiani di cultura occidentale come me? siamo uguali, no? 

Ero in Australia da un paio di giorni quando ho iniziato a capire che le cose erano diverse da come immaginavo che fossero. Ero a Perth, su un autobus e davanti a me era seduta una signora di circa quarant'anni, bionda con gli occhi azzurri, come la maggior parte degli Australiani di discendenza britannica. 
Ero assorta nei miei pensieri, e ad un tratto mi sono accorta che mi stava fissando. Anzi, no, non mi stava fissando, mi stava guardando con disgusto, come se fossi stata un gigantesco ragno peloso. Non ci ho fatto molto caso, sul momento. Ho pensato che fosse anche lei persa nei suoi pensieri e avesse involontariamente atteggiato il viso con quella smorfia di orrore.

Un paio di giorni dopo ero sul treno metropolitano. Davanti a me si sono seduti una mamma col suo biondissimo bambino di sette-otto anni. Il bimbo si gira verso di me e inizia a fissarmi con insistenza. Dopo qualche minuto dice qualcosa nell'orecchio della madre: la donna mi lancia un'occhiata cattiva e poi dice al figlio: " Non ne sono sicura".
Non è sicura di cosa? a cosa vengo associata? io ho capelli e occhi scuri e pelle chiara. Una normale donna italiana. 
Forse mi hanno preso per un'Aborigena? però gli Aborigeni solitamente hanno la pelle molto più scura della mia. Avranno pensato che fossi mediorientale e quindi "Medio Oriente = terrorismo"?

Vi giuro: arrovellarsi sul perchè la gente ti guarda con odio senza aver scambiato nemmeno una parola con te è una sensazione orrenda. 

Poi c'è stata la volta del supermercato. Io ero nel parcheggio che camminavo verso l'entrata, e davanti a me c'era una donna australiana che andava nella stessa direzione, con due bambini di circa quattro anni. Tutti biondissimi, ovvio. 
La signora sente dei passi dietro di sè, si gira, mi lancia un'occhiata del tipo: "Oh mio Dio, questa cosa mi sta seguendo! come posso fare, ora?" quindi mette le mani sulla schiena dei pargoli come per proteggerli, e affretta il passo, continuando a girarsi di quando in quando.
Quest'ultimo episodio mi ha esasperata talmente tanto che mi sono dovuta trattenere dall'urlare: "Buuuh" con le braccia alzate e un'espressione sogghignante.
Quale accidenti era il problema? vi assicuro, non ho un aspetto così spaventoso da giustificare il suo comportamento. 

Dopo questo episodio ho giurato a me stessa che se fosse successo ancora avrei affrontato la persona in questione, così, solo per sapere di COSA hanno paura.
In quei giorni abbiamo poi comprato la macchina, e questo ha reso praticamente nulle le mie possibilità di interazione con sconosciuti sui mezzi pubblici.

In seguito ci siamo trasferiti nel paesino nel bush e nei primi giorni ho avuto la gioia - si fa per dire - di conoscere Miss What?! l'adorabile impiegata che lavora all'ufficio polivalente della contea, ovvero in pratica si occupa di tantissime cose diverse per cui è facilissimo dover avere a che fare con lei. Io l'ho incontrata per chiedere informazioni sull'ottenimento della patente di guida australiana, quando ho chiesto delucidazioni  su come smaltire gli scatoloni di cartone e in un sacco di altre occasioni e ogni volta è stata sempre uguale. 
Io entro dalla porta e mi avvicino al banco, sorridendo.
Lei ricambia il sorriso e chiede come può essermi utile. 
Io inizio a parlare... e la sua espressione diventa una cosa a metà tra il disgusto e l'orrore, quindi mi interrompe con un: "Cooosa?!". Al che io sorrido ancora di più e ricomincio da capo.

Lo so, si sente che non sono di madrelingua inglese. Mio marito, che lo è, dice che non ho nessun accento italiano e che è molto difficile capire da dove vengo.  In ogni caso, non è colpa mia se sono nata in un paese dove non è l'Inglese la lingua ufficiale, e ci sono comunque modi più cortesi di quelli che usa Miss What?! per manifestare la propria incomprensione. 

Non sono l'unica, comunque. Nei forum per espatriati in Australia ho letto storie simili. C'è chi suggerisce di tingersi i capelli e usare lenti a contatto azzurre per assomigliare alla maggioranza, e ho letto anche il post di una ragazza che stava seriamente pensando di cambiare nome ("inglesizzando" il proprio) per avere più chance di trovare lavoro.
Sarà per questo che il lavoro non l'ho ancora trovato, perchè il mio nome non suona inglese?

Mentre riflettevo su queste cose, e su cosa ci sia di strano nel mio aspetto, mi è tornato in mente un particolare del viaggio che ho fatto in Australia lo scorso anno, insieme a mio marito. Abbiamo girato parecchio e abbiamo preso quattro aerei per spostarci da una parte all'altra del continente: ebbene, io sono stata "scelta" dagli uomini della sicurezza aeroportuale per fare il test degli esplosivi tre volte su quattro. Mio marito ( biondo con gli occhi azzurri) solo una. Un caso?

Sia ben chiaro, io non voglio dire che tutti gli Australiani siano così. Però questa intolleranza mi infastidisce, specie quando assume forme estreme, come è successo qualche giorno fa, durante una cena a casa di colleghi di mio marito. 
Oltre a noi due e ai padroni di casa, era presente anche un'altra ragazza e ad un certo punto è uscito fuori che suo padre è di origini italiane, ma lei non può ottenere la cittadinanza italiana per motivi sconosciuti. Al che, il padrone di casa le ha detto scherzando che per ottenere la cittadinanza italiana può sempre sposare un Italiano, e lei (che sedeva accanto a me) ha iniziato a fare una serie di smorfie di disgusto e infine è sbottata in un: "Oddio! No, un Italiano, no!".