martedì 9 febbraio 2021

Amicizie insolite, una piccola storia delicata

Ermanno* ha 95 anni e di cose ne ha viste tante. Troppe, probabilmente. Ha lo sguardo stanco di chi della vita ormai e' stufo.
Passa le giornate seduto su di una poltrona nella sua stanza. Sul muro alle sue spalle, foto di tempi lontani, di quando la moglie era ancora viva, di quando i figli lo venivano a trovare. Ermanno non le guarda mai. Sa che sono li', a testimonianza che la vita, prima, e' stata bella. 
Ora le giornate sono grigie, la depressione gli pesa sulle spalle e sul cuore.

Ogni giorno e' uguale al precedente e si svolge sulla poltrona. Ermanno non legge, non guarda la televisione, passa le ore con lo sguardo fisso nel vuoto, dal momento in cui si sveglia fino a quando il sonno non inizia a pesare sulle sue palpebre.
Una routine sempre uguale, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Ermanno rifiuta ogni tentativo di essere coinvolto nella vita della casa di riposo, si schermisce quando le animatrici provano a coinvolgerlo in qualche attivita', a qualunque cosa preferisce la sua poltrona, la liberta' di non prestare attenzione a niente e a nessuno se non a se stesso, una solitudine auto-imposta che dura da quando la stanza numero cinque e' diventata la sua. 

Io vedo Ermanno ogni giorno, ogni mattina lo lavo, lo vesto, gli faccio la barba. Assisto impotente al suo costante ripiegarsi su se stesso, al crescente disinteresse verso il mondo. E' come se ogni giorno lasciasse indietro un pezzetto di se', liberandosi pian piano di desideri, ricordi, sogni, interessi. Un lento processo di deumanizzazione che ha come traguardo ultimo la morte. 

Finche' un giorno, all'improvviso, succede qualcosa.
- C'e' un uccello che da due giorni si siede qua fuori nel giardino, subito fuori dalla porta-finestra. Magari e' malato o ha un'ala rotta. Puoi controllare? - mi chiede Ermanno.

Apro la porta-finestra, in effetti in mezzo all'erba c'e' una specie di colombo, non so il nome ma e' un volatile molto comune in questa parte d'Australia. L'animale e' accovacciato per terra, immobile, con lo sguardo fisso su di me. Appena mi avvicino vola via. Sembra in perfetta salute.



Alle dieci porto ad Ermanno una tazza di te'. La bestiola e' di nuovo li' fuori, accovacciata per terra, a circa un metro di distanza da dove si era sistemata prima. 

- Sei sicura che stia bene? - noto un'ombra di qualcosa di nuovo, nella sua voce. Una sfumatura di preoccupazione. Per la prima volta dopo anni, l'attenzione di Ermanno e' concentrata su qualcosa che non e' lui stesso, qualcosa di diverso, qualcosa del mondo esterno.
- Guarda, non sono una specialista, ma mi sembra che il colombo stia benone. Hai considerato che potrebbe essere il contrario?

La conversazione lo sta annoiando. Gia' non mi guarda piu'.
- Il contrario di cosa? - mi chiede, con voce incolore.
- Magari e' l'uccello ad essere preoccupato per te. Ti vede ogni giorno immobile in questa poltrona, magari lui pensa che sia tu quello che sta male o che ha una gamba rotta. 

Ottengo un piccolo sorriso, fugace come un arcobaleno dopo una pioggia estiva. 

Il giorno dopo, quando entro nella stanza col vassoio della colazione ed apro le tende, il colombo e' di nuovo li'. E non e' solo, ce n'e' anche un altro. 
- Ermanno, c'e' il tuo amico! e ha portato compagnia!

Il collo si allunga, un altro piccolo sorriso affiora sul viso stanco. Due sorrisi in due giorni e' piu' di quanto abbia visto in un intero anno. 

Non ho idea del perche' i colombi si soffermino davanti alla porta-finestra della stanza numero cinque. Ma so per certo che, da quando hanno fatto la loro apparizione, Ermanno passa il suo tempo a guardarli, e poi me li racconta. 

-... e ce n'e' uno un po' piu' piccolo, un altro che ha un segno chiaro sul collo. Una deve essere una femmina, magari quello piccolo e' il suo pulcino. E poi ogni tanto arrivano anche le gazze....

La storia e' finita. Non ha niente di eccezionale o di anomalo, non finira' mai sul giornale, si tratta solo di volatili molto comuni che passeggiano nel giardino di una casa di riposo australiana, piccoli fatti di ogni giorno, minuzie senza importanza. 
Eppure, da quando le bestiole hanno fatto la loro apparizione, una scintilla d'interesse e' sbocciata nel cuore del vecchio signore, donando alla sua vita una piccola sfumatura colorata. 

*Il nome Ermanno e' ovviamente di fantasia. 

domenica 7 febbraio 2021

Andare a vivere in una casa per criceti

 


Il Coronavirus ha portato inaspettate conseguenze, qui in Western Australia. Dopo una iniziale corsa per accaparrarsi l'ultimo rotolo di carta igienica, le frontiere internazionali sono state chiuse, l'assalto ai supermercati si e' per fortuna placato, il numero di contagi e' fortuitamente sceso, e l'Australiano medio e' stato preso dalla smania di abbandonare la sua residenza urbana per trovare rifugio in luoghi piu' bucolici e agresti. Il settore immobiliare ha subito un'impennata, immobili che giacevano invenduti da decenni hanno finalmente trovato nuovi acquirenti e gli sperduti villaggi australiani hanno ricevuto nuova linfa vitale. 

Il Freaky Village non e' stato esente da questo fenomeno e abbiamo assistito alla vendita di terreni e proprieta' che giacevano invenduti da tempo immemore. Nel contempo, una leggera ansia ha iniziato ad insinuarsi nelle nostre menti. Sono anni che sfogliamo pigramente le pagine degli annunci immobiliari, cercando una casa da comprare. Cosi', senza troppa intenzione di farlo in tempi brevi, ma sempre con un occhio sulla situazione locale degli alloggi.

- Ma sai che sono riusciti a vendere anche quel terreno poco  distante da qui? quello attraversato dal ruscello che esonda ogni volta che piove? quello dove non e' possibile costruire? e anche quella catapecchia orrenda sull'angolo della via principale, quella con i buchi nel muro rattoppati con gli stracci, hai presente?

Il fatto che la gente avesse comprato proprieta' che avevamo sempre ritenuto invendibili, ci ha portati a rivalutare la mollezza con cui avevamo sempre considerato l'opzione di acquistare. 

Per farla breve, in quattro e quattr'otto abbiamo individuato una casa in vendita ad un prezzo ancora potabile, siamo andati a visitarla, abbiamo fatto un'offerta, aperto un mutuo e ci siamo ritrovati proprietari di un immobile. Ullalla'. 


Mi ero gia' dilungata su quanto il concetto di "casa" qui sia diverso dall'idea che solitamente se ne ha in Italia, parlo in termini strettamente strutturali. In Italia non ti verrebbe mai in mente di chiedere all'agente immobiliare se l'edificio ha le fondamenta, o se possiede un isolamento termico adeguato, o di cosa sono fatti i muri. Le case vengono indiscutibilmente costruite in mattoni e sono fatte per durare. 

Qui l'idea e' diversa, specie fuori dalle citta'. La casa che compri oggi verra' venduta un domani non troppo lontano, per comprarne un'altra migliore. Puoi trovare alloggi senza fondamenta, con pareti di legno e alluminio, costruiti in un mesetto. I mattoni sono merce rara. 

- Descrivici la casa nuova! - mi hanno detto i miei genitori, subito dopo il trasloco.

La casa nuova e' bellissima, ho detto loro. Tutta bianca. Ha una veranda anteriore e una posteriore. Un giardino anteriore cintato da una siepe di rosmarino, con un vialetto e alberi di pero, e un immenso giardino posteriore, con querce, alberi da frutto, tantissime rose, un orto, addirittura una piccola serra..

- Di cosa sono fatti i muri della casa? - mi ha interrotto mio padre, conoscendo le carenze architettoniche australiane. 

- Ecco, non sono proprio sicura - ho esordito io, cercando di guadagnare tempo - esternamente si nota una materia metallica la cui superficie appare ondulata...

Caspiterina, un muro in pregevole lamiera!

Si tratta di lamiera, papa'. Lamiera, va bene? qui la usano anche per le case, non solo per i pollai. E non abbiamo le fondamenta, di questo sono certa. La casa poggia su pali metallici che qui chiamero' pomposamente "di acciaio" perche' fa molto cool. Magari poi sono davvero di acciaio, chi lo sa?


Per dignita' vi risparmio la descrizione dell'isolamento termico dell'abitazione. Comunque sia, al di la' di questo e altri difettucci, per noi il problema principale al momento e' che la casa ha una stanza in meno degli alloggi in cui abbiamo abitato in precedenza. In pratica e' grande quanto una casetta per criceti, e noi abbiamo TONNELLATE di roba, specialmente quintali di libri e scatoloni su scatoloni pieni di vecchio materiale scolastico appartenente al coniuge. 

Ovviamente di una buona parte di queste cose ci siamo accorti DOPO l'acquisto. Del resto, in quei sette minuti netti in cui visiti la casa con l'agente immobiliare non riesci a farti un'idea molto precisa e la disponibilita' di case nell'area e' quello che e' e c'e' di peggio, molto di peggio. 

La casa e' stata costruita nel 2013 per un'anziana signora di nome Margaret, che vi ha vissuto fino alla fine dei suoi giorni. Ora, uno si aspetterebbe che, una volta passato un periodo di tempo ragionevole dal triste evento, la famiglia inizi a mettere a posto. Questo lo teniamo, questo lo buttiamo, qui puliamo cosi' poi possiamo vendere la casa. 

Non ci e' ben chiaro cosa sia successo, ma questo processo non si e' verificato, e l'abitazione e' stata venduta "con tutto quello che contiene" come recita il contratto. Non solo i mobili che appartenevano a Margaret, ma tutti i suoi libri, le sue pentole, i suoi quadri. Tutti i soprammobili, le tovaglie, i canovacci, le giacche, le borse, la valigia con cui Margaret aveva fatto un viaggio in Inghilterra, la manciata di sterline che aveva conservato a ricordo di quell'esperienza, addirittura le bottiglie di olio e aceto ancora sul ripiano accanto ai fornelli, come se l'anziana signora fosse uscita di casa cinque minuti fa per comprare qualcosa e dovesse essere di ritorno tra pochi minuti. 

Tutta la vita di una persona negli oggetti che possedeva. I suoi interessi, i suoi hobbies. Una cassapanca piena di lana grezza tinta in casa con colori ricavati dalle piante del giardino. Un piccolo telaio da tessitura. La medaglietta appartenuta a Watt, un cagnolino deceduto probabilmente anni fa. 

Nei giorni del trasloco, mentre esaminavo questi oggetti decidendo cosa tenere e cosa buttare, avevo la stranissima sensazione di rovistare in una casa che non mi apparteneva, come se fossi stata una ladra. Avvertivo la presenza impalpabile di Margaret accanto a me. Mi interrogavo su quanto fosse giusto gettare via cose che per questa donna avevano avuto un significato affettivo particolare. Posso disfarmi della lana? buttare via la medaglietta di un cagnolino che non ho mai conosciuto ma che lei ha certamente amato?

Sono una ragazza sensibile, lo so.
E mi faccio problemi idioti.

E' passato qualche mese, dal trasloco. Ho donato quasi tutti i suoi libri, buttato una parte degli oggetti, altri li ho spostati in attesa di decidere di cosa farne. 

E poi c'e' il giardino, l'enorme giardino posteriore. Margaret adorava il suo giardino, ci passava ore. Quando siamo arrivati noi, piu' che un giardino abbiamo trovato una jungla, con tutte le piante ipercresciute, i rampicanti che si insinuavano ovunque, l'erba alta. 

Lentamente, lo sto rimettendo a posto, ho piantato un piccolo orto, sto facendo progetti di potatura per l'inverno. Piano piano ci stiamo sistemando, inventando nuovi spazi dove mettere le nostre cose. Ogni giorno sento che la casa diventa sempre piu' nostra, la presenza ingombrante della precedente proprietaria si va piano piano affievolendo. Abbiamo sistemato i libri negli scaffali e il pavimento non e' (ancora) crollato sotto al peso, hurra'!

E con questo, per oggi e' tutto. Un saluto dalla nostra casetta per criceti, alla prossima. 

Fluffy e Chai adorano il nuovo divano.

domenica 5 aprile 2020

In punta di piedi

Il sentiero e' stretto e in salita e si arrampica sul monte in mille curve, tra gli alberi e le chiazze di neve. Ho il fiatone, gli sbuffi che si condensano nell'aria fredda. Quanti anni potevo avere? 15? 18?
- Zio, non ce la faccio a starti dietro! rallenta!
Tu ti giri, sorridi. Mi dici che per camminare in salita non devo appoggiare i talloni.
- Devi camminare in punta di piedi, sei vuoi arrivare in cima! mi dici.

Ricordi di giorni lontani, istantanee che affiorano nella mia memoria come vecchie fotografie, remote eppure inspiegabilmente vivide. Vorrei poterle estrarre dalla mia mente e conservarle in un album, in un computer, in qualcosa di diverso dalla mia testa, perche' la memoria umana e' labile. Dimentichiamo, anche se non vorremmo. E io ho il terrore di dimenticare. Di perdere la memoria del taglio dei tuoi occhi, il modo in cui camminavi, l'odore dei tuoi vestiti.
Tutte quelle piccole cose che non ho mai osservato volontariamente, ma che facevano da corollario alla tua persona.

Su youtube ci sono i video delle tue conferenze. Non so quanto ho pianto la prima volta che ne ho visto uno. Eccoti li', uguale a come ti ricordo, la tua voce, l'espressione del tuo volto. E' stato struggente vederti vivo, l'illusione di poterti incontrare di nuovo. Ho rivisto quel video almeno dieci volte, solo per sentire ancora il suono della tua voce. E' stato lunedi' 23 Marzo, il giorno dopo la tua morte.

Mamma me l'ha detto subito, quando ci siamo sentite su skype quella domenica, come al solito.
"Flavia, purtroppo devo dirti una cosa". Ho capito subito che parlava di te, aveva le lacrime agli occhi. E' stato un orrendo deja vu di quel 4 Marzo 2018, quando alla consueta chat della domenica ho trovato solo papa'.
- Lo zio ha avuto un ictus, e' in coma, mamma e' partita stamattina per andare da nonna.

In questi giorni ho letto un sacco di necrologi. I tuoi colleghi dell'universita' hanno esaltato la tua intelligenza, il tuo amico Arnaldo ha elencato le montagne che avete scalato insieme, dal McKinley in Alaska al Muztaghata nel Pamir tibetano, a tutte le cime conquistate nelle Ande.

Mi sono resa conto che di una persona si tendono a vedere sempre le stesse cose, come due corpi celesti in orbita sincrona. La prima cosa che colpiva di te era la tua immensa intelligenza, la tua straordinaria memoria, la tua incredibile conoscenza di qualunque argomento, dalla Fisica Teorica alla Chimica, dalla Letteratura alla musica classica, per non parlare di ogni sentiero su ogni rilievo italiano (e una buona parte di quelli esteri) . Ma c'erano tante sfaccettature di te che mi sono ignote. Non so com'eri come professore, non conosco l'espressione che avevi negli occhi quando ti trovavi su qualche remota catena montuosa ai confini del mondo, non so qual era l'ultima cosa a cui pensavi prima di addormentarti nella tua casa di Pavia, non so quali fossero le tue paure, i tuoi sogni. Non so perche' a volte tu preferissi isolarti dalla famiglia. Ci sono tutti i ruoli di cui non ho esperienza diretta, non so come sei stato come figlio, fratello, marito, padre, nonno. Molte cose di te sicuramente non le ho mai capite. Avevi luci ed ombre, non sei stato perfetto. Ma chi di noi lo e'? Io spero solo che tu sia stato felice.

Per me sei stato lo zio migliore che potesse esserci, nei tuoi confronti provo solo gratitudine. Mi ricordo quel pomeriggio passato a parlare insieme dei pianeti del sistema solare. Quanti anni potevo avere? ero poco piu' che una bambina. Quel giorno hai piantato in me il seme dell'amore per l'Astronomia, che negli anni successivi e' germogliato e cresciuto.
Mi ricordo quel giorno del 2006 in cui eri a casa nostra a Genova. Forse avevi qualche conferenza in  citta'? Io mi accingevo a scrivere il primo capitolo della mia tesi di laurea. Era primo pomeriggio, mamma usci' di casa, dicendoci di badare ad una pentola che sobbolliva in cucina. Un'ora dopo il primo capitolo della tesi era pronto, mentre la pentola e il suo contenuto finirono nella spazzatura. Quella tesi mi valse la lode.
Ricordo il giorno in cui ti ho telefonato chiedendoti se potevi fare da testimone al mio matrimonio. Ricordo la sorpresa nella tua voce, la gioia. Ricordo come ogni volta che venivamo in Italia tu cercavi il modo di vederci, anche solo per un giorno. Ti sono enormemente grata per tutto questo.

Quando papa' mi disse che eri in coma, ricordo la mia incredulita'. Ho sempre pensato che saresti morto in una spedizione, caduto in un crepaccio, strappato da una parete di roccia ghiacciata dal vento impetuoso. Sicuramente l'avresti preferito.
Ho sperato, ho pregato, ho acceso candele, ho tentato ricatti e promesse con entita' invisibili pur di poterti riavere indietro. Ogni giorno la speranza di vederti riaprire gli occhi si assottigliava. Quando finalmente sono tornata in Italia, sono corsa al tuo capezzale e non ti ho riconosciuto. Ingrassato, senza occhiali, gli occhi chiusi. Tu gia' non eri piu' li', quello era solo un corpo ormai troppo danneggiato per potersi riprendere.

Arnaldo ha scritto che hai "vissuto in punta di piedi e in punta di piedi te ne sei andato". E hai deciso di farlo proprio adesso, nel momento in cui, a causa dell'emergenza coronavirus, non e' stato possibile celebrare alcun funerale. E questo e' proprio della persona umile e schiva che sei sempre stata.
Mi mancherai immensamente, pensare che non ti vedro' mai piu' mi causa un dolore immenso. Ti custodiro' per sempre nel mio cuore.
Grazie, grazie di tutto. 

giovedì 19 marzo 2020

Il Western Australia ai tempi del Coronavirus

Premessa 
(che vale per qualunque cosa riguardante l'Australia)

Durante il mese di Gennaio sono stata contattata da un numero impressionante di persone. Familiari, amici, gente che ho incontrato una volta e mai piu' vista e perfetti sconosciuti. Tutti avevano un'unica domanda: Com'e' la situazione degli incendi, li' da te in Australia?
Lo so, la televisione e i media italiani hanno problemi con la geografia e tendono a fare di tutta l'erba un fascio, pero' io vivo in Western Australia e gli incendi erano in New South Wales e Victoria. Per dire, da qui a Sydney sono quasi cinque ore di aereo. L'Australia e' un continente.
E' come se qualcuno venisse in Italia aspettandosi di trovare i fiordi, avendo letto che questo e' uno dei paesaggi che e' possibile ammirare in Europa. 
Questo per dire, quello che accade a Sydney non accade qui.

La situazione qui adesso

Nel momento in cui vi scrivo, in Western Australia ci sono una cinquantina di persone positive al virus, soprattutto gente di ritorno da viaggi all'estero o turisti, e si sono verificati tutti a Perth.
E' stata introdotta la quarantena obbligatoria per chiunque torni (o arrivi) dall'estero, con multa fino a 50.000 dollari e un anno di detenzione per i trasgressori (la severita' della pena e' differente negli altri stati dell'Australia).
Oggi poi e' arrivata la notizia che l'Australia sta per chiudere le frontiere a chiunque non abbia la cittadinanza o un visto di residenza, si parla di almeno sei mesi.

Detto tra noi, non so quanto sara' utile. Il virus si sta propagando in New South Wales, o aboliscono anche gli spostamenti all'interno del continente, oppure questa misura non mi sembra utilissima.

Nel frattempo la vita continua.
Il paese non e' (ancora) in quarantena, le scuole e le universita' sono aperte, i mezzi pubblici funzionano, si puo' cenare fuori e andare a fare shopping.
L'Australiano medio sta iniziando a recepire che questo virus non e' solo "un'influenza". Le autorita' lo sanno da un pezzo, sono stati aperti ospedali e cliniche, ci sono scorte di camici e mascherine, e nel posto dove lavoro abbiamo gia' fatto due training sul coronavirus, e un altro e' in arrivo, sulla "vestizione" obbligatoria per entrare nella stanze delle persone infette e i metodi di disinfezione.

L'intero stato e' in attesa, pronto a combattere.

Nel frattempo gli Australiani sono andati in panico e stanno svuotando i supermercati. Il primo articolo ad andare esaurito e' stata la carta igienica.


Si', lo so, non e' un virus gastrointestinale, ma parliamo di gente che non sa cos'e' il bidet. Compatiteli.
La corsa all'accaparramento degli ultimi rotoli e' arrivata ad estremi assurdi: la gente si e' accapigliata in alcuni supermercati, e un quotidiano si e' sentito in dovere di stampare alcune pagine bianche, gia' tratteggiate, giusto in caso qualcuno ne avesse avuto necessita' mentre era in bagno.



Dopo la carta igienica e' sparita la pasta, la salsa di pomodoro, il sapone, il latte, i surgelati e la carne. Il governo e' stato un po' ambiguo sull'eventualita' di fare scorte, dicendo prima che non era assolutamente il caso, e poi che e' opportuno avere in casa del cibo in caso ci si trovasse in quarantena. Ieri il primo ministro ha ribadito veementemente che il "panic buying" e' assurdo e va interrotto immediatamente, ma ormai il danno e' stato fatto.

La radio e la televisione ripetono incessantemente notizie sul coronavirus, come probabilmente stanno facendo tutti i media del pianeta.

Ieri mattina alla radio:

Primo DJ: avete sentito, la pasta nei supermercati e' finita. Ne e' rimasto solo un tipo.
Seconda DJ: e quale?
Primo DJ: i risoni (risata di sottofondo di una terza persona).
Seconda DJ: i COSA? (risata)
Primo DJ: i risoni.
Seconda DJ: vuoi dire il riso?
Primo DJ: no, la pasta si chiama "risoni" (altra risata).

Forse erano sotto l'effetto di droghe, chissa'. Certo, considerando che l'Australiano medio si intende di pasta quanto io di trattori, tutto e' possibile.

Dieci minuti dopo:

Primo DJ: ... e poi ho sentito questa cosa, che in Italia adesso escono sui balconi e cantano.
Seconda DJ: ma che schifo, a me darebbe fastidio!!! magari sei li' che mangi e i vicini ti disturbano!!

A questo punto ho fermato la macchina e ho preso il cellulare, per cercare su internet il numero telefonico dell'emittente radiofonica e protestare.
Che ne sai tu dell'Italia e della situazione che c'e' adesso per permetterti di dire "ma che schifo".
Ovviamente non c'era campo.

Io non sono terribilmente preoccupata per il virus in se'. Ero in Medio Oriente quando e' scoppiata la MERS, ho fatto il callo all'ansia da Coronavirus (e la MERS ha una mortalita' del 35%).
E' piu' il fatto che ho la famiglia e gli amici a 12.000 km di distanza in un paese prostrato dal virus e sotto chiave.
Al lavoro mi chiedono: "Come stanno i tuoi genitori?" e la risposta e' sempre la stessa: " Bene... per adesso".

Poi stanotte ho sognato che un mio compagno di universita' si era infettato ed era morto. Allegria, direbbe Mike Bongiorno.

Speriamo che passi presto. Teniamo duro. E laviamoci le mani, nel frattempo.

venerdì 6 marzo 2020

La storia infinita del passaporto

Dopo avervi raccontato del giorno in cui sono diventata australiana, oggi volevo condividere con voi le gioie della burocrazia, nello specifico quello che ho dovuto fare per  ottenere il passaporto. 

Il passaporto australiano
Antefatto
Che meraviglia, sono australiana!!! e  oggi completero' il form online per richiedere il passaporto! emozione alle stelle!
La procedura e' la seguente: completare il modulo, stampare i due fogli che appaiono al termine, prendere appuntamento con l'ufficio postale, portare all'appuntamento il materiale richiesto (passaporto italiano, patente australiana, fogli stampati, certificato di cittadinanza e fototessera) e pagare 300 dollari.
Il form online e' lunghissimo e diviso in tipo dodici diverse sezioni, che vanno compilate una per una. Tra queste, una deve essere compilata da una persona che conosci e che in pratica ti fa da garante per ottenere il passaporto. I requisiti sono che la persona sia Australiana, possieda un passaporto e mi conosca da piu' di un anno.
Dopo una veloce revisione delle mie conoscenze, opto per una collega con cui ho un buon rapporto, la contatto e le chiedo se puo' portare il proprio passaporto al lavoro il giorno seguente. Lei accetta, e il giorno dopo, in un momento di pausa, la collega compila diligentemente la parte mancante del modulo online, indicando i propri dati anagrafici, l'indirizzo, il numero di telefono, il luogo di nascita e il numero del proprio passaporto. Torno a casa, stampo i fogli e li metto dentro ad un raccoglitore insieme alle altre cose richieste.
Il giorno seguente non lavoro, per cui prendo un appuntamento con l'ufficio postale del Freaky Village alle 9 del mattino utilizzando l'apposito servizio online. Mi sembra facilissimo. Andra' liscio come l'olio.

Primo tentativo
La giornata si apre con un imprevisto, la macchina del consorte ha un problema, ci sono due spie accese sul cruscotto, per cui lui prende la mia macchina e va al lavoro, chiedendomi di portare la sua dal meccanico. Alle 8.30 esco di casa e prendo la macchina. Il Freaky Village, in cui si trovano sia l'ufficio postale che l'officina, dista 15 km. La macchina ha problemi ad accelerare e vibra come se ci fosse il terremoto. Procedendo molto lentamente arrivo infine in paese e vado dal meccanico.
Sulla porta dell'officina c'e' un foglio di carta che avvisa che oggi e' chiuso. Magnifico.
Vado poi all'ufficio postale. Entro brandendo la mia cartellina, mi dirigo verso l'impiegata e le dico che ho un appuntamento.
Sguardo vago. Mi risponde che i passaporti li fanno solo al pomeriggio, al mattino sono troppo occupati e che no, non guardano mai se qualcuno ha prenotato online. 
Sono gia' arrivata alla macchina quando sento la voce dell'impiegata che mi chiama: si e' ricordata in quel momento che in effetti la loro licenza per fare passaporti e' scaduta.

Secondo tentativo
Sto meditando di andare fino alla cittadina dove lavoro, a 70 km di distanza. Essendo piu' grande, sicuramente l'ufficio postale avra' la licenza in regola e senza dubbio trovero' un meccanico disposto a dare un'occhiata alla macchina del consorte.
Unico dubbio, non so se riusciro' ad arrivare alla cittadina, ma pazienza, ci provo. Prendo appuntamento con l'ufficio postale per l'una e mi metto in marcia.

70 km con questa spia accesa. Riusciro' ad arrivare?
La strada sale e scende dalle colline. Quando sono in salita la velocita' della macchina e' di 25 km/h, mi hanno superato persino i camion col rimorchio.
Finalmente, dopo un tempo infinito e un po' di ansia arrivo nel centro abitato e mi dirigo dal primo meccanico suggerito da Google. Devo sistemare la macchina oggi.
- Hai l'appuntamento? - mi chiede l'uomo dell'officina. Poi si impietosisce e promette che ci dara' un'occhiata.
Ho ancora un'ora prima dell'appuntamento all'ufficio postale e decido di andare in libreria. 

Il negozio in questione e' un piccolo e adorabile bookshop indipendente. Qua e la' tra gli scaffali ci sono dei cartellini che contrassegnano alcuni dei libri come i preferiti di questo o quell'altro membro dello staff. Mi immagino i librai intenti a leggere nei momenti di pausa tra un cliente e l'altro.
Mi avvicino al bancone.
- Come posso aiutarti? - mi chiede sorridendo una ragazza.
Incoraggiata, le espongo il mio quesito. C'e' un libro di cui ho letto la trama qualche mese fa. Non ricordo ne' il titolo ne' l'autore, ma si svolge in India e la trama mi aveva ricordato Jane Austen.
- Un libro di Jane Austen ambientato in India...  - mormora tra se' la ragazza, facendo ricerche sul computer.
Mentre Jane si rivolta nella tomba, le spiego di nuovo cosa sto cercando. La ragazza coinvolge altra gente. Alla fine sono in tre a cercare sul computer. 
- E' questo? mi chiede il proprietario del negozio. 
- No, quello l'ho letto. Non si svolge in India e non e' quello che sto cercando.
- E' quest'altro? - mi chiede la moglie.
- No, ho letto anche quello. Non c'entra niente con Jane Austen e nemmeno quello e' il libro che stavo cercando...
Alla fine compro un altro volume e mi dirigo all'ufficio postale. 

Ci sono due code. una e' per il banco dove si spediscono pacchi e lettere, l'altra mi e' ignota e mi metto in coda li'. Quando e' il mio turno mi viene ovviamente detto che e' la fila sbagliata.
Mi rimetto in coda e finalmente arrivo davanti all'impiegata. Le porgo la cartellina che contiene i documenti ed estraggo il bancomat dal portafoglio per pagare.
Lei mi guarda. 
- Li vedi questi triangolini nella parte alta dei fogli che hai stampato? - mi chiede.
Mi informa che gli stessi triangolini devono apparire anche nella parte inferiore del foglio. E' la prova che il documento e' stato stampato bene. Nei miei fogli i triangolini inferiori sono stati tagliati dalla stampante. Devo ristampare tutto.
Con un diavolo per capello recupero l'auto e torno a casa.
Mannaggia ai triangolini.

Terzo tentativo
Ho stampato il documento tipo quindici volte. Ho mosso la risma di carta, il carrello della carta, ho preso a pugni la stampante. Non c'e' verso di stampare i benedettissimi triangolini inferiori, accidenti a loro. Prendo un altro appuntamento con l'ufficio postale e, dopo una veloce ricerca, decido di andare a stampare i fogli in biblioteca. 
Il giorno seguente, quando termino il mio turno di lavoro, vado in biblioteca. Non ho mai usato i computer qui, per cui chiedo informazioni. La signora dietro al banco mi guarda come fossi deficiente. 
Mi spiega che, una volta che ho dato l'avvio alla stampa, devo recarmi in fondo alla stanza dove si trova la stampante, inserire le monete nell'apposita macchinetta e aspettare che la stampante faccia il suo lavoro.
Mi scoccia un sacco aprire con un computer pubblico la pagina del sito governativo da cui devo stampare. Mi da' fastidio che il tizio seduto accanto a me possa vedere mentre inserisco username e password, ma non ho alternative. Do l'avvio alla stampa e mi scollego immediatamente dopo dal sito, in maniera da non dover lasciare la pagina incustodita mentre vado a stampare.
Uno schermo mi avvisa che ho ben 40 secondi per terminare la procedura. Inserisco le monete, non succede niente. Ora ho solo 20 secondi!!! in panico, chiamo l'impiegata.
Il suo sguardo e' la certezza di avere a che fare con un perfetta cretina. Mi dice che per fermare il conto alla rovescia dei secondi basta toccare lo schermo. La stampa non si e' avviata perche' le mie monete non sono state accettate, scivolando direttamente nella feritoia da cui si prende il resto.
Ripeto la procedura, stampo.

Vabbe', ho fatto la figura dell'idiota, ma ora ho i fogli, con tutti i triangolini necessari.
Corro all'ufficio postale. L'impiegata controlla i triangolini e annuisce, soddisfatta. Poi prende la mia patente, la guarda e il suo viso diventa improvvisamente serissimo.
Mi fa notare che l'indirizzo sul modulo non corrisponde a quello sulla patente. Le spiego che la casa ha due indirizzi. 
- Non e' valido, mi spiace - mi dice con una certa soddisfazione.

Quarto tentativo
Il giorno dopo torno in biblioteca per modificare il modulo e stamparlo e di nuovo, ma non e' piu' possibile nessuna modifica. Occorre ricominciare da capo. Oltretutto, non posso vedere la pagina compilata dalla mia collega, e questo significa che devo chiederle di nuovo di portare il passaporto al lavoro. 
Torno a casa depressissima. Mio marito mi suggerisce di cambiare ufficio postale e, senza rifare tutta la trafila, portare semplicemente con me il foglio dell'agenzia immobiliare che dichiara che i due indirizzi sono relativi alla stessa proprieta'. 
Il giorno dopo prendo appuntamento in un altro ufficio postale, quello del paesino dove lavora il coniuge. Non ho nessuna speranza. Come minimo ci sara' qualcos'altro che non va, magari ho fatto male la firma, oppure la foto non rispetta i canoni richiesti.
L'impiegata e' una pacioccona col viso a forma di cuore.  
- Ma certo che va bene, tesoro - mi dice, quando le tendo il foglio dell'agenzia. 
- Non ti preoccupare, ora in quattro e quattr'otto facciamo tutto - aggiunge, con un sorrisone.

E cosi' e' stato. Ho pagato i 300 dollari e ieri, per posta, e' arrivato il mio nuovo passaporto. 
Quando ho letto "Nazionalita': Australiana" ho avuto una stranissima sensazione, un misto di gioia e stupore. 
Sono Australiana. E ora ho anche il passaporto, nonostante il doppio indirizzo e i malefici triangolini.

lunedì 3 febbraio 2020

Una storia australiana per bambini anticonformisti

C'era una volta, nel grande paese di Down Under, il Principe Calogero del regno degli emu'. 
Calogero era assai bello, alto, con un lungo collo e un piumaggio splendente e quando era un pulcino i suoi genitori erano molto orgogliosi di lui. 
Purtroppo, crescendo Calogero sviluppo' un'indole pigra, piuttosto che fare i compiti preferiva dormire sotto agli alberi. Quando fini' la scuola media il re e la regina del regno degli emu' erano in crisi. 
- E' fuori questione che vada al liceo - disse suo padre.
- Cosa gli facciamo fare? - chiese sua madre - Pensi che sia interessato all'Alberghiero?
Calogero decise di iscriversi alle Magistrali e trascino' la sua poderosa e pelosa mole in classe per cinque anni, con mediocri risultati. Nel tempo libero, il principe amava passeggiare sulla Collina, dove si trovava una casa circondata da alberi da frutta e abitata da due umani e due gatti.




-Cosa ne facciamo di questo figlio? - chiese una giorno il re alla moglie.
- Stupido, pigro e indolente com'e' non c'e' speranza che vada all'universita'. Passa le sue giornate sulla Collina a mangiare frutta e dormire sotto gli alberi, col benestare dei due umani che vivono nella casa. 

Un giorno d'estate, mentre riposava sotto un albero per sottrarsi alla calura, Calogero vide per la prima volta Pasqualina. Pasqualina era quasi calva, aveva un becco molto sporgente e un paio di occhiali dalle lenti spesse come fondi di bottiglia. Non era una bellezza, ma Calogero si innamoro' di lei a prima vista.

Lo sguardo sveglio di Pasqualina, qui senza occhiali
Pasqualina era bruttina, ma molto intelligente. Al termine del liceo scientifico aveva vinto una borsa di studio per Harvard, dove si era laureata in Fisica. Aveva quindi conseguito due master in Astronomia all'Universita' del Texas, il Dottorato in Astrofisica alla Columbia University e lavorava a contratto ai telescopi Keck per conto della NASA. 

Calogero la guardo' negli occhi. L'amore per gli emu' e' una faccenda semplice.
- Pasqualina, ci conosciamo da dieci minuti ma gia' ti amo e voglio dividere la mia vita con te. Lascia stare le stelle, torna in Australia e diventa la regina del mio castello. Passeremo le nostre giornate sulla Collina, mangiando la frutta del giardino. I due umani sono stupidi, sembrano entusiasti del fatto che mangi la loro frutta e riempia il loro giardino di letame. Ti ameranno.

Qualcuno passeggia mentre lavo i piatti, protetto dalla privacy della tendina

- Col cavolo - rispose Pasqualina.
- Calogero, ti rendi conto che diventare la regina del tuo castello vorrebbe dire buttare alle ortiche anni e anni di studio? L'astrofisica e' la mia vita. Non puoi chiedermi di rinunciarvi.

- Ma io ti amo - disse Calogero. 
- Non vedo dove stia il problema - disse Pasqualina - ci sposiamo, tu resti qui e ti prendi cura della casa, io torno alle Hawaii e porto a casa lo stipendio.

E cosi' fu.
Pasqualina torno' alle Hawaii, ma non senza aver lasciato a Calogero otto grosse uova. 
La paternita' fece bene al principe indolente. Covo' le uova con infinito amore e attenzione e divenne incredibilmente solerte nella cura dei pulcini, scoprendo nell'essere padre la sua vera vocazione.



Pasqualina continuo' ad occuparsi delle sue stelle, restando in contatto giornaliero col marito e i figli tramite Skype e passando le sue ferie in Australia. 

-FINE-

Nota: Non sono sicura che Calogero abbia una ragazza. L'ho visto in compagnia, ma non ne ho la certezza.
Quello che e' certo e' che sono gli emu' maschi a covare le uova e ad allevare la prole.
Non chiedetemi cosa facciano le femmine, dopo aver mollato le uova al malcapitato di turno. Forse lavorano davvero alla NASA.

lunedì 27 gennaio 2020

Italian-born Australian

Il 26 Gennaio 1788, il capitano Arthur Phillip, al comando di una flotta di navi, approdo' a Botany Bay, nei pressi dell'odierna Sydney, in New South Wales. Gli uomini che quel giorno arrivarono nel Continente Nuovissimo ne segnarono l'inizio della colonizzazione europea. 

Per quanto controversa e contestata dagli Aborigeni (che ricordano il giorno come l'inizio dell'espropriazione delle loro terre), la data e' stata scelta per l'Australia Day.
Ogni anno, in tutta l'Australia, in ogni citta', paese o gruppo di case in mezzo al nulla viene celebrato l'Australia Day.


E' una festa che celebra la gioia di essere cittadini di questo Paese enorme e meraviglioso, a volte generoso e a volte spietato e terribile, con una popolazione incredibilmente eterogenea, composta da chi era qui dall'inizio dei tempi e da chi arrivo' dopo, da ogni parte del mondo. 
Solitamente c'e' la colazione gratuita verso le 8 del mattino, che viene offerta a chiunque lo desideri.

Nel 2015, pochi giorni dopo il nostro arrivo in Australia, mio marito ed io andammo ad una di queste colazioni, il nostro primo Australia Day. Assistemmo alla consegna dei premi a chi si era particolarmente distinto nella comunita' e naturalmente alla proclamazione dei nuovi Australiani. Quale giorno migliore per ricevere la cittadinanza?
Ricordo una donna con un vestito rosso, ricordo la sua emozione nel leggere il giuramento che la dichiarava australiana. Mentre la guardavo, sapevo gia' che un giorno su quella pedana ci saremmo stati noi. All'epoca, nel 2015, avevamo gia' la residenza permanente, e dovevamo solo aspettare il numero giusto di anni per poter richiedere la cittadinanza.

Quel giorno e' arrivato nel 2018, quando abbiamo compilato la domanda online. I mesi sono poi passati senza ricevere nessuna notizia e sollevando mille dubbi: eravamo idonei o c'erano dei problemi?
Infine, ad Ottobre 2019, mentre tornavamo a casa dopo un viaggio nel nord del continente, guardando pigramente la posta sul cellulare, ho trovato una mail dal ministero dell'interno, che mi informava sulla data del test.

Per diventare cittadini australiani occorre superare un test a scelta multipla di cultura generale australiana. Il materiale per studiare per l'esamino e' disponibile online, sul sito del ministero. Dopo giorni di forsennato ripasso, un giorno di digiuno per l'ansia e una notte insonne, il giorno del test mi sono recata nel luogo indicato e mezz'ora dopo ne sono uscita vittoriosa. 

Infine, meno di due settimane fa il nostro Shire ci ha fatto sapere che la cerimonia si sarebbe tenuta il 26 Gennaio 2020, durante la celebrazione dell'Australia Day.
Nonostante mi fossi ripromessa di cercare di riposare, ieri alle 4.50 avevo gia' gli occhi spalancati per l'emozione. 
Ti immagini se mi accorgo che il vestito ha delle macchie? e se le calze dovessero smagliarsi? non ho dentifricio sulla faccia, vero? e se inciampo sui tacchi?
Quando siamo saliti in macchina rasentavo il panico e continuvo a giocherellare con la catenina della borsa. 

Infine, dopo anni di attesa, e' arrivato il momento. Ho pronunciato il giuramento con la voce che tremava e cercando di contenere le lacrime, in preda all'emozione piu' grande dopo il giorno del matrimonio. Solo poche righe, ma dense di tante cose, le persone che ho incontrato, le cose che mi hanno lasciata senza fiato, tutto quello che amo di questo paese. Solo poche righe, ma che mi hanno legata nel modo piu' intimo possibile con una terra diversa da quella in cui sono nata
Ho ripensato a quel giorno del 2013, mentre eravamo in volo dal Medio Oriente verso Melbourne. Avevamo passato l'equatore, sorvolato Bali, e attendevo col cuore in gola di vedere l'Australia per la prima volta. Dal mio posto accanto al finestrino scrutavo l'orizzonte, ma riuscivo a vedere solo acqua, acqua e nuvole. E poi ad un tratto e' apparsa una costa lontana, la costa di un continente che non conoscevo, ma dove gia' sapevo che sarei andata ad abitare. 
Ho guardato giu' e ho pensato che un giorno, da qualche parte su quella terra lontana, ci sarebbe stato un posto che avrei chiamato "casa".

La foto e' storta, lo so.
Vogliatemi bene lo stesso.


Ho realizzato che l'Australia mi ha dato tanto. Qui ho praticamente imparato a guidare, ho avuto il primo lavoro full time a tempo indeterminato, ho imparato a destreggiarmi in inglese in ogni situazione. L'Australia mi ha fatta crescere. 

E cosi' sono diventata Australiana.
Non sono caduta dai tacchi, non ho smagliato le calze. Il vestito aveva in effetti una macchia sul bordo, ma sono sicura che nessuno l'ha notata.